Capitolo undici.

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Avevo passato l'ultimo esame, il più tosto della sessione e del mio corso di laurea e vedevo avvicinarsi sempre di più l'obiettivo.
Sospiro guardando il cielo dove il sole si nascondeva timidamente dietro una nuvola, improvvisamente due mani si posano sui miei occhi facendomi sussultare.

"Non dire nulla" dice una voce dolce che compare alle mie spalle e che avevo riconosciuto.
"Amore" sussurro.

Non appena Manuel toglie le mani dal mio volto, vedo cadere coriandoli tra i capelli e a terra e intorno a me Lavinia, Alessio e alcuni miei compagni di corso come Giorgia, Sara, Davide, Francesco.
Non riuscivo a crederci.
Non ero tipa da grandi festeggiamenti per il semplice fatto che avevo sempre pensavo fosse solo mio dovere portare a termine ciò che iniziavo ma vederli tutti lì che mi abbracciavano, mi supportavano, fieri di me non mi stava lasciando indifferente anzi stavo cercando di trattenere tutte le lacrime possibili.

"Ma siete pazzi" dico con la voce tremante, Lavinia mi stringe a se mentre singhiozza tra le mie braccia.
"La mia piccola" dice stampandomi poi baci su baci nella guancia.
"Non è finita qui" dice Manuel, prendendomi per mano facendo cenno con la mano a mio padre e a mia madre di uscire allo scoperto.

Appena riesco ad intravederli cedo in un pianto liberatorio, lascio cadere lo zaino a terra e corro da loro con mia madre che singhiozzava peggio di me.
Per quanto mi ritenessi una ragazza autonoma e indipendente, la famiglia era sempre stata al primo posto.
Per me loro erano il perno della mia vita, la mia costante assoluta, il bene.
Ero così felice di vederli, di poter sentire il profumo di mio padre e di poter vedere il sorriso di mia madre.
Mi erano mancati tanto.

"Amore della mamma" mi dice lei, accarezzandomi i capelli "Sono così fiera di te" aggiunge, stringendomi nuovamente a lei.
"Come stai?" dice poi mio padre mentre ci stacchiamo da questo abbraccio che sembrava essere durato ore.
Mi asciugo le lacrime e cerco di riprendermi per rispondere.
"Bene, ma come siete venuti? Chi ve l'ha detto?" chiedo tamponando le guance con i palmi delle mani.
"È stato il tuo uomo" dice mamma accarezzando una spalla a Manuel che era sceso assieme agli altri.
"Grazie" gli dico per poi abbracciarlo, lui mi stampa un bacio prima sul collo e poi uno sulle labbra.

"Scusate, scusate!"

Sento urlare e mi giro, anche se in realtà ci giriamo un po' tutti.
Vedo Nicolò correre come un pazzo, aveva parcheggiato in seconda fila e probabilmente aveva lasciato anche la macchina aperta.
Quasi si fa investire dalle macchine che frenano repentine e suonano il clacson per la sua poca prudenza nell'attraversare la strada.
Era vestito tutto in tiro: capelli con il gel tirati all'indietro, smoking nero e scarpe eleganti.
Era arrivato davanti a me dopo un po' di scale mentre il tempo man mano si era ingrigito sempre di più e qualche goccia cominciava a cadere lungo le nostre figure.

"Ho fatto di tutto per arrivare in tempo però cazzo a Roma quando piove è un casino" mi dice poi prende un grosso respiro perché, nonostante sia allenato, le scale della mia università erano il male assoluto.
"Ma quello non è il giocatore della Roma?" sento sussurrare mia madre a Lavinia.
Lavinia dal canto suo la sento ridacchiare come ad affermare.

Non riesco a fare nulla se non a sorridere come un idiota mentre la pioggia, timidamente, accelerava.
Lui alzò gli occhi al cielo e poi li riabbassò verso di me facendo spallucce perché era abituato ad allenarsi e giocare in queste condizioni meteorologiche.
Eravamo sotto alla pioggia di Roma, bagnati, sulle scale della mia università e il resto del mondo era completamente offline.
Si avvicinò chiudendomi nell'ennesimo abbraccio dove, per l'ennesima volta, mi ci persi.

"Sono così fiero di te" mi dice accarezzandomi i capelli mentre mi tiene stretta nelle sue braccia.

Non faccio altro che stringermelo, chiudendo gli occhi ad assaporare ogni singolo momento di quello che stava succedendo.
Sentivo il suo profumo invadermi oltre a quello della pioggia ed era tutto maledettamente perfetto: i problemi, la paura, l'ansia, la liberazione si erano mescolate e si erano lasciate andare in quell'abbraccio lì, con lui, come sempre.

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