C'erano sei mosche sul soffitto della chiesa. Le aveva contate ripetutamente per almeno cinque minuti.
Contare le cose la rilassava, contava i bottoni della camicia del suo papà, contava i ricami del centro tavola sul tavolo di sua mamma, contava le parole scritte sulla bibbia invece di leggerla quando era a catechismo.
Catechismo non le andava a genio, andarci la inquietava. A nessuna bambina di undici anni piaceva andare in chiesa, ma Noa giurava che ogni volta che vi entrava sentiva un brivido lungo la schiena. Lo aveva detto a sua nonna, e lei aveva toccato il rosario che aveva al collo "!Ay Dios mio!" aveva detto, fulminandola con un'occhiata. Aveva borbottato qualcosa in spagnolo e aveva scrollato le spalle.
Staccò lo sguardo dalle mosche e lo spostò sul prete, che recitava la messa in latino. Di tutte le chiese, sua nonna aveva trovato l'unica della citta in cui si continuava a dire la messa in latino, l'incredibile ironia della sorte. Era spoglia e fredda, d'inverno sua nonna le doveva portare un cardigan, altrimenti passava la settimana con il raffreddore. Non sarebbe stata così spoglia se la messa fosse stata in inglese.
Al termine della celebrazione diede un bacio sulla guancia di sua nonna e uscì in giardino.
Si metteva sull'altalena a destra ogni domenica pari e sulla sinistra ogni domenica dispari.
Era il 17 aprile 1967 e significava che era un giorno per l'altalena a sinistra.
La bambina seduta su quella a destra era nuova, non l'aveva mai vista.
Probabilmente era una di quelle orfane del convento che ogni tanto scendeva per la messa, a giudicare dalle sue condizioni le suore non erano molto caritatevoli con loro.
Aveva i capelli unti, era minuta, pallida e smunta. Aveva la stessa età di Noa, ma sembrava molto più piccola.
"Ciao." Disse, sarebbe stata educata anche se la bambina era brutta.
"Ciao Noa."
Quando la bimba disse il suo nome, a Noa quasi prese un infarto.
"Chi sei?" Chiese, e si stupì quando la sua voce uscì limpida. Cercava di mantenere un portamento dignitoso, ma ogni volta che guardava le sue manine verdognole le veniva da vomitare.
La bambina non rispondeva e Noa si stava spazientendo. Se non avesse preferito le mani verdognole di quella creaturina alla messa in latino dove l'aveva trascinata sua nonna se la sarebbe data a gambe. Eppure qualsiasi cosa le sembrava più invitante.
"Non ci senti?" Si accorse di essere stata troppo aggressiva e fece un passo indietro istintivamente. "Ti ho chiesto chi sei? Come fai a sapere il mio nome?"
"Emilia."
La bambina iniziò a correre via, e Noa la guardò bene.
Era brutta. In dieci anni di vita non aveva mai visto una bambina più brutta di quella.
Pallida e smunta, nemmeno un nastro colorato a legarle i capelli. Aveva i piedi scalzi e un vestito bianco. Era il 1967, quel vestito era talmente 1966 che avrebbe preferito morire che indossarlo.
Il diavolo la spinse, e lei le corse dietro. Più correva e più se ne pentiva.
"Dove mi porti?" La bambina rise, con un suono agghiacciante; talmente agghiacciante che Noa sentì lo stomaco cederle. Ripensò ai denti giallognoli che aveva mostrato parlando e lo stomaco cadde ancora più in basso. "Emilia?"
Si addentrò nell'erba alta. Le era alle calcagna, era talmente vicina che le sfiorava il vestito con le ginocchia: appena fu abbastanza vicina le afferrò la spalla e la girò verso di sé.
Se Noa fosse potuta tornare indietro a quella fredda giornata di aprile non l'avrebbe mai seguita, né tantomeno toccata. Ma non tutte le scelte hanno la risposta multipla, alcune sono aperte e non si possono prevedere le conseguenze in anticipo.
Quando la bambina si girò, un grido lasciò le labbra rosee di Noa.
Era talmente deformata che non riusciva più a capire come potesse essere un umano.
La pelle oramai era cinerea, gli occhi dilatati e spolpati, come se qualcuno ci avesse ficcato le dita dentro e avesse cercato con tutte le sue forze di separare la cornea dall'iride e l'iride dalla pupilla.
La bocca era aperta in un ghigno e i denti non erano più giallognoli, come quelli di un fumatore, ma verdi e aguzzi e decimati.
"Tu verrai con me."
D'un tratto la voce era adulta, e anziana e infantile allo stesso tempo: era senza tempo.
Noa indietreggiò e lanciò uno sguardo alla... chiesa.
La chiesa non era più da nessuna parte. Si guardò intorno, a destra e a sinistra.
"Dove siamo? Dove mi hai portata?"
Emilia rise ancora e Noa smise di guardarle i denti e decise di abbassare lo sguardo ai suoi stessi piedi. Non voleva morire, era l'unica cosa a cui riusciva a pensare.
Emilia la prese per le spalle.
"Oh Noa, io non ti ho portata da nessuna parte, ci sei venuta da sola. Ragazzina sciocca." Noa scosse la testa, e da lì fu tutto talmente veloce che non ebbe nemmeno il tempo di capire cosa stava succedendo. "Finirai come tua madre."
"Non parlare di mia madre." La bambina rise, e guardando la sua faccia deformata distorcersi ancora di più. "Tu non sai niente di lei."
"Tu non sai niente di tua madre, ragazzina. Tua nonna ha venduto l'anima al diavolo e la tua stupida madre non era abbastanza per pagarne il prezzo... non che tu lo sia, ma all'appetito della morte ogni pasto è idoneo."
Noa aveva iniziato a piangere a singhiozzi nel frattempo, "Tua madre non ha pagato il debito e ora prenderò ciò che avevamo pattuito."
Quel demone deforme fu l'unica cosa che Noa vide, ma l'ultima cosa a cui pensò fu sua madre.
"Notizia dell'ultima ora, 78enne Rosalia Diaz denuncia la scomparsa apparentemente immotivata di sua nipote Noa Diaz, di dieci anni, vista per l'ultima volta alla chiesa di via Dallas."
Rosalia sospirò scuotendo il capo, posando la tazzina da caffè sul tavolo.
Quel demone si era preso sua figlia e sua nipote, ma era un prezzo appropriato per una vita eterna. Ora doveva solo decidere chi sarebbe stata la prossima vittima che avrebbe sacrificato al suo posto.
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Storia di Kler
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3L - 21 ragazzi o 21 demoni?
KorkuRaccolta di storie delle storie per lo Halloween story contest del 2021