25.

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Fino a qualche mese fa sentivo un macigno sul petto.
Non riuscivo a respirare come normalmente si dovrebbe.
Sentivo di non appartenere più a questo mondo.
Mi vedevo come un'anima solitaria isolata da tutto.

Vivi perché devi, perché qualcuno lassù ha voluto così.
Sopravvivi perché è quello che ti resta da fare, dopo la vita che hai vissuto.
Pensi che il tuo treno sia già passato, che magari non meriti nemmeno più il tempo.
Finchè non ti aggrappi a qualcosa che ti faccia rimanere a galla, o magari a qualcuno che non ti permetta di perderti in te stessa.

Ecco cosa è successo dopo che ho varcato la soglia di quella porta.
Mi sono buttata a capofitto in un qualcosa che prima, per me, era sconosciuto.
Non sapevo cosa significasse avere una vera famiglia.
Non sapevo quanto fosse bello vivere tranquillamente la quotidianità, senza scappare.

Mi sono aggrappata a qualcuno che in passato ha cercato di togliermela, la vita.
Ora, ironia della sorte, me la sta offrendo senza nulla in cambio.
Sembra un fottuto film da romanzo rosa.

Passo le giornate ad allenare la mente ed il corpo.
Mi capita di aiutare Macarena con la piccola.
Proteggo quella bambina più di quanto protegga me stessa.

Non l'ho fatto con mia figlia, questa cosa mi brucia ancora dentro, anche a distanza di anni.
A volte mi capita di sognarla.
Una volta mi ha detto addirittura di smetterla di fare la dura.
Che merito di essere amata.
Che merito di essere felice per davvero.

Ma come posso lasciarmi andare?
Se lo facessi diventerei vulnerabile.
Come potrei permettere che accada?
La vulnerabilità è un'arma auto-distruttiva.
Potresti ritrovarti in una fossa senza sapere nemmeno come.
Allora mi domando, ne vale davvero la pena?
Chi lo farebbe per me?

Passo ore ed ore a ragionare su tantissime cose, forse non dovrei nemmeno sforzare così tanto il mio cervello, ne ha passate davvero troppe.
Sono arrivata anche a chiedermi se sia giusto che io rimanga qui, con lei.
Ho la constante paura di perderla, lo ammetto.
Lei e la bambina sono l'unica cosa che mi resta.
Me l'ha urlato in faccia quella volta in ospedale, quando stavo entrando in sala operatoria per l'operazione.
Non l'ho dimenticato.

"cosa scrivi"
mi chiede dopo essersi avvicinata alla mia scrivania.

"come se non lo sapessi, bionda"
la guardo negli occhi.
Capisci, eccome se lo capisci.

"Posso leggere?"
mi accenna uno dei suoi sorrisi.

"certo... che no, hai letto abbastanza per i miei gusti, senza il mio permesso tra l'altro"
chiudo il diario e lo appoggio nel solito cassetto che poi chiudo a chiave.

"quand'è che la smetterai di fare così?"

"di fare così come, bionda?"
le dico con la mia solita voce profonda, avvicinandomi.

Vedo dei brividi formarsi sulle sue braccia.
Questa cosa non cambierà mai.

"niente, lascia stare"
fa per andarsene.
Non ci penso due volte e le afferro il polso bloccandola.

"Bionda... tu-"
assottiglia gli occhi, come se volesse capire quello che sto per dire.
Sembra irreale, lo so.
Però, perché no?

"io?"
Mi incita a continuare, sembra stia iniziando a tremare.
O forse sono io.

Mi accorgo che ho ancora la mano ancorata al suo polso.
E fisso proprio quel punto, perché mi costa davvero parlare.

"tu...mi ami?"

Angolo autrice
io🤝pubblicare capitoli ad orari insoliti dopo mesi
PERO estoy aquí :)

Il Diario Di Zulema ZahirDove le storie prendono vita. Scoprilo ora