Capitolo 34.1

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Orobianco

La vita non si ferma laddove viviamo. Trascende la Terra, si muove nel cielo, è ospite perfino sulle distanti stelle, che noi amiamo guardare rifulgere, da un completo buio.

Erano di un grigio argenteo, i corsi che fluivano tra le gole di pietra, bagnando di metalliche luci le sponde, facendo salire qualche brillio fin nei miei occhi.

Bassi ponti ad arco, come quello su cui ero da poco salita, addormentandomi accanto a mia nonna nella sua camera, collegavano estremità sabbiose su cui erano insediate una moltitudine di abitazioni.

Alcune, tenute in sospensione da palafitte affondate nel flusso, avevano massicce porte d'ingresso, davanti a cui, ogni tanto, qualcuno arrivava volando.

Un planare elegante, seppur senza ali, leggiadro, che si specchiava nello scivolio di quelle che solo alla lontana, potevano ricordare acque terrestri.

«Sei nella posizione che preferisco», mi coinvolse una voce maschile, che precedette la visione di un ragazzo abbottonato in un lungo e dritto cappotto di velluto blu, che riprendeva il colore marino dei suoi occhi, mentre ciuffi rame si adagiavano sulla sua fronte, sfuggendo alla compostezza del suo cappuccio in pelliccia.

Dopo aver scambiato un primo sguardo, non riuscivo ad allontanare il pensiero che ci fosse qualcosa di intangibile e soggiogante in lui; quando si girò di profilo, e si piegò in avanti, svogliato, appoggiandosi con i gomiti sulla muratura del ponte per guardare il corso, tardai a imitarlo, restando altri istanti ancora a squadrarlo.

«Sta per iniziare», mi anticipò, con una certa attesa che riuscì a trasmettere pure a me, attraverso il suo tono, e il suo nascente sorriso, nonostante non avessi alcun indizio su che cosa stessimo per vedere. «Ah, questo è il Rio d'Orobianco. Ho notato che poco fa lo osservavi come non lo osserva nessuno di qua.»

Doveva aver riconosciuto subito che ero una superluminale, chiunque lo poteva riconoscere, a quanto avevo appreso nella mia precedente visita su Saiph, eppure aveva preferito non farmelo pesare, comunicandomelo in modo sottile e garbato, quasi diplomatico.

«Siamo nel Terzo Territorio, allora», commentai, più per me stessa, per quanto ero stupita di essere riuscita a entrare nel luogo d'origine dei Lie, di Zeno, che adesso mi pareva ancora più monumentale, che per suscitare una nuova reazione in lui.

«Stiamo per assistere al Guarh, perciò direi proprio di sì», mi rispose, rilassandosi ancora di più, fino a posare il suo importante mento dentro i palmi delle mani, che lo reggevano, dando risalto alla sua fissazione sul colore del fiume, chiaro come l'oro bianco.

«Guarh», ripetei sottovoce, una parola in Tarkh che non avevo ancora sentito, che poteva significare qualsiasi cosa, per quello che ne sapevo, e che pronunciata da quel ragazzo aveva assunto una irreprimibile cadenza melodica, come se fosse stata una sonata per gli astri.

A poco a poco, le persone interruppero le loro attività, e alcune arrivando in volo, per accalcarsi in gruppi alle rive, altre camminando, per trovare il punto più panoramico sul corso, si stanziarono, mentre una ventina di Lie, femmine e maschi, vestiti soltanto di una leggera e coprente vestaglia bianca che li distingueva, immergevano, uno dopo l'altro, i piedi nudi nel Rio.

Entrarono fino al busto, sostenuti dai sorrisi di incoraggiamento e dalle acclamazioni degli abitanti presenti, poi si slacciarono le vestaglie, che galleggiarono dietro di loro sulla superficie argentea, e proseguirono fino a esserne lambiti al collo, e infine a una completa immersione della testa.

«Che cosa stanno facendo? Pensavo che i Lie non sopportassero l'acqua», domandai, sorpresa, rivolgendomi al ragazzo accanto a me, che non si perdeva nulla di quell'evento.

Saiph - La mia stellaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora