Capitolo 23.2

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Aveva ciocche nere bagnate, appiccicate alla fronte, e rivoli d'acqua che scendevano dalle sue punte, gocciolando sul suo viso di marmo arabescato.

Mi guidava sicuro, conducendomi nel pulviscolo atmosferico, dentro la pioggia, protetta da un indumento che aveva ancora il suo profumo.

Fioritura di fresie nella bruma.

Fuori dal parco della carta e dei ricordi, aveva svoltato in una strada opposta a quella da cui eravamo arrivati, avviandomi in una direzione ignota.

L'acqua corrente ruscellava dai canali sulle tettoie dei caseggiati fino a riversarsi in basso, in salti sottili e trasparenti come vetro soffiato.

Non sapevo dove mi stesse portando, né dove si fosse fermato Zeno, quando si era allontanato, dimesso e impulsivo, da noi.

Sacrificato all'aria acquosa, Elias mi riparava con una delicatezza di corallo che mi faceva rilassare, addossando la spalla su di lui.

Irrompeva agile, muovendosi in parallelo all'Iseo, incontrando sempre meno persone, il suo profilo reso niveo da un lampo bianco.

Si voltò alla sua destra, imprevedibile, davanti a una scalinata in pietra che portava in basso rispetto alla strada, e io persi l'equilibrio su di lui.

Finii con la faccia sul suo maglione e camicia, e dalla sua gola uscì un suono inarticolato, mentre abbassava lo sguardo, obliquo, su di me.

«Scusa.» dissi, vestita solo dei suoi occhi scuri, di raso satinato, che mi avvolgevano morbidi, come se fossi completamente nuda.

«Di qua.» indicò, distogliendo subito l'attenzione da me, e scendendo il primo gradino, che sotto la pioggia pareva argenteo.

Sentii un improvviso freddo per la mancanza di quella sua occhiata così coprente, imperscrutabile, e in silenzio, mi riallineai a lui.

Scesi la scala fino a un sentiero di arbusti che sembrava immettersi direttamente nel lago, increspato sulla superficie dai refoli di vento.

Elias non mi fece rallentare, avanzò ancora veloce, le ampie spalle proiettate alle acque dolci, rotte dalle ripetute gocce in picchiata dal cielo.

I nostri piedi incontrarono sottili pozzanghere lungo il selciato, acquitrini chiari ai quali lasciammo il riflesso di un fuggevole passaggio.

«Ci siamo quasi.» soffiò lui, insieme al vento, la voce ariosa al mio orecchio, a suonare insieme alla pioggia sull'erba.

Un pontile galleggiante si allungava fino a un rustico gazebo, affacciato sullo specchio appannato e smosso dell'Iseo.

Era una struttura color mogano delimitata da un tetto spiovente, simile a un balcone panoramico oltre la sponda madreperla.

Saliti sulle tavole di legno, cigolarono per i nostri passi fino a quando non arrivammo al centro di quella rotonda vuota sul lago.

«Al sicuro, direi.»

Elias rilassò subito le braccia, tenendo ancora la giacca gocciolante, mentre io mi sistemavo su una panca, osservando le mezzelune a pelo sull'acqua che disegnava la pioggia.

«Come sapevi di questo posto?» chiesi.

«Ci ero già venuto prima.» rispose, avvicinandosi a me quanto bastava per farmi realizzare quanto poco spazio avessimo in due lì, isolati sull'Iseo.

Vi era qualcosa di intimo nel modo in cui restammo in silenzio, a riconoscere la passione con cui la pioggia baciava il lago, ragazzo e ragazza in una cristalliera lucidata dal cielo.

Saiph - La mia stellaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora