Capitolo 7.2

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Mi salutò con un sorriso mesto, poi si lanciò di sotto. Lo vidi precipitare per svariati metri, prima di essere inghiottito dai flutti scuri.

Portai una mano alla bocca, alla vista di fumi grigi che si alzavano dall'acqua, proprio dove era caduto Zeno. Aloni densi si estendevano nell'aria come se l'impatto avesse provocato un'esplosione sotto la superficie fluida dell'Arno.

Rimasi a fissare la scena dal ponte, pietrificata, le nocche che dolevano da quanto forte stringevo la ringhiera.

Mi sentivo impotente, impotente e in colpa. Per salvare una vita, ne avevo messo in pericolo un'altra, mentre io da sola non ero in grado di garantire la salvezza a nessuno.

La testa di Zeno riemerse tra gli ovali di luce che galleggiavano a pelo sull'acqua, e per poco non mi gettai giù pure io, per la gioia.

La sagoma del signor Berti comparve con lui, incosciente, tenuta a sé con una presa salda e vigorosa. Non sembrava star bene, ma forse era stato tirato fuori in tempo, forse non era troppo tardi.

Forse, forse, forse.

Ero troppo lontana per potermene accertare direttamente, l'ansia mi stava consumando di nuovo il fiato.

Zeno si sollevò pian piano dall'acqua, abbracciato allo sventurato uomo, immobile su di lui; i loro piedi sfiorarono il fiume, come se fossero in grado di camminare sulle sue increspature e si staccarono dall'Arno, spiccando il volo, insieme.

Le luci brillanti accese nel fiume si spensero, i fumi si diradarono con il confusionario vento, mentre il ragazzo portava lontano il padre di Emma, e risaliva con lui verso il cielo, la sua casa di origine.

Mi accorsi che puntava al ponte, a me, ma qualcosa sembrò disturbarli nel tragitto verticale, di fatti Zeno perse altezza, e rimpiombò veloce in basso, rischiando di rifinire sott'acqua.

Soffocai un urlo.

Riuscì a evitare il fiume per un soffio, e con lentezza cambiò direzione, spostandosi in orizzontale, a pochi centimetri dal baratro scuro.

Arrivò a toccare la sponda destra, e lì si lasciò andare, finendo sdraiato a terra insieme ad Alfredo, corpi abbandonati su una riva desolata.

Scattai fino in fondo al ponte, e scesi da loro più veloce che potei, con il cuore che avrebbe potuto darmi il colpo di grazia nel petto per come batteva e ribatteva.

Feci presto come non avevo mai fatto, e solo quando arrivai alle loro spalle, mi accasciai anch'io sull'erba. Zeno aveva gli occhi spalancati, sul viso una smorfia muta, mentre le braccia erano aperte lungo i fianchi, in un gesto di resa. Era stravolto, privo di energie, non qualcuno in grado di fare miracoli stellari, e guardandolo meglio da vicino capii il motivo.

La pelle del suo collo era percorsa da strane bolle di color rosso, così come quella delle sue mani e, in misura minore, del suo volto. Pareva una reazione allergica, ma a giudicare dai suoi spasmi, qualunque cosa fosse, doveva essere più dolorosa.

Presi la sua mano martoriata tra le mie, e mi protesi su di lui, preoccupata. «Zeno!»

Lui voltò la faccia di lato, senza rispondermi, quasi volesse parlarmi, ma non ce la facesse.

Era rivolto verso Alfredo.

Guardai il padre di Emma, cercando di capire come stesse, e se possibile, la visione mi agitò ancora di più. Era fermo, non dava segni di vita.

Era talmente fragile, quell'uomo, nonostante fosse alto e un po' in sovrappeso, aveva l'animo distrutto, e d'un tratto pensai alla mia amica, e alla predizione dell'indovina di Montefioralle.

Saiph - La mia stellaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora