Capitolo 3.2

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E come una rosa blu, che non esiste in natura, su un cuscino di velluto, vogliamo quella colorazione irraggiungibile, che nessuno ci ha mai portato.

Recisi il gambo di una rosa rossa, e mi punsi accidentalmente con le sue spine, ferendo le mie fantasie, mentre la posavo su un tavolo per incartarla e legarla con un fiocco.

Servivo i clienti, seguivo le direttive della mamma di Emma, ma la mia testa tornava spesso da Zeno, fantasticava di trovarselo davanti per caso, in fila nella Bottega.

Lui brucia, Ester. Brucia, hai capito? Non dovresti nemmeno uscire con lui, figurati pensarlo.

La rosa rossa era per un simpatico uomo sulla cinquantina che mi conosceva bene, comprando di frequente nel nostro negozio, e che per questo, non si lamentava della mia lentezza.

Quando riuscii a consegnargliela in una lucida carta plastificata, e lo mandai alla cassa per il solito caffè amaro che chiedeva, notai Elias intento a scegliere i fiori per un mazzo.

Era solo, in un'area usata come laboratorio creativo, nella quale dovevamo passare alcune ore a turno, a perfezionare il nostro lavoro manuale.

La signora Berti ci teneva che creassimo i nostri bouquet personali, oltre a quelli che ci venivano commissionati di volta in volta.

I migliori che arrivavano al suo sguardo si aggiudicavano la vetrina, allestita periodicamente, mentre gli altri potevano ambire a un angolo ancora vuoto all'interno della Bottega.

Le creazioni di Elias piacevano sempre, eccellevano, motivo per il quale, insieme a una inesprimibile e difficoltosa curiosità di lui, che avevo avuto fin dal primo momento, quando potevo, lo osservavo mentre era all'opera.

Era innegabile che avesse un suo particolare talento e senso estetico, oltre a una buona tecnica, ed era risaputo che da lui si potesse imparare molto.

Mi avvicinai piano, un filo che si tendeva fino a lui, fermandomi davanti a un tavolo sul quale aveva posato, in modo ordinato, alcuni fiori dai colori variegati.

Ancora chino in avanti, aveva alzato gli occhi quando mi aveva sentita accanto a lui, e una melata d'abete, densa, scura, era scivolata lentamente nei miei.

«Quanto ti manca per finirlo?»

«In realtà poco.»

Sollevò un fiore bianco con una linea di nero al suo centro, elegante e antico, e uno dello stesso tipo, blu come il cielo di una notte senza stelle.

«È questione di minuti», aggiunse, seduto in una posa che tirava fuori il suo estro.

«Sbaglio o sono anemoni, quelli?» mi parve di riconoscere, mentre li riponeva con cura su una carta argentata, e proseguiva a lavorarne altri, da accostare ai primi, raggruppandoli.

«Sì, della specie coronaria.»

«Ti devono piacere molto», commentai, seguendo i suoi gesti sicuri e al contempo così accorti. «Finora hai messo solo quelli.»

«Non sono i miei preferiti», rispose Elias, controllato. «Ma diciamo che li sento

«Che cosa intendi?» indagai.

«Gli anemoni sono chiamati "i fiori del vento", lo sapevi?»

I fiori del vento?

«No», ammisi, mio malgrado. «Una associazione piuttosto poetica.»

«Merito di un certo Teofrasto.»

«Chi?»

«Un filosofo botanico, credo», rispose, riflessivo. «Ma anche senza scomodare lui, il termine greco ànemos, da cui deriva il nome del fiore, significa vento.»

«Vento, eh?» sorrisi.

Elias mi lanciò una occhiata incerta, dopodiché sistemò i gambi robusti degli anemoni, e io rimasi ad ammirare la coordinata grazia con cui si muoveva, nonostante l'altezza e i grandi palmi.

«Questi sono fiori fragili, di breve durata. Le loro corolle si muovono al minimo soffio d'aria», mi spiegò, studiando le tonalità chiaro-scure del suo mazzo. «È facile che finiscano per essere portate via dal vento, distrutte.»

Come poteva un bouquet malinconico essere tanto magnifico, non riuscivo a comprenderlo. Era una composizione di colori deprimenti, che io non avrei mai pensato di mettere insieme, ma che faceva levare emozioni dallo sterno, e singulti dall'anima, come poche altre.

«Sono speciali.»

«Sono effimeri», ribatté lui. «Pensa che gli Etruschi li usavano in ghirlande per i loro morti.»

«Molto tempo fa.»

Il ragazzo tornò a guardarmi, alcuni istanti di frastornante immobilità tra noi, quasi volesse capire meglio perché cercassi di difenderli.

Poi, dal nulla, sorrise.

«Per te, aggiungerò una variante al mazzo», mi fece sapere, con le labbra distese, rilassate.

«Oh, grazie.»

Si allontanò dal tavolo, in solitaria, e ritornò poco dopo con alcuni fiori dalle tinte rosa pastello tra le braccia, completamente diversi dagli altri che aveva scelto, che levigavano quelle degli anemoni.

«Erica», riconobbi.

Elias annuì, completando agevolmente la sua creazione, e unendola con uno spesso nastro che annodò a più riprese, con un suo stile che lo faceva sembrare naturale.

«Ecco qua.» mi disse, appena finito di prepararlo. «L'erica si usa spesso come augurio.»

Sapevo a che cosa si riferiva. Era uno dei fiori dal significato positivo più conosciuto.

Un auspicio.

«La speranza che i sogni e i desideri si avverino.»

Alzi la mano a chi piacerebbe lavorare nella Bottega insieme a Ester! Varie specie di fiori, il profumo del caffè nell'aria, la possibilità di esprimere sè stessi con creatività, la propria amica, e non tralasciamo lui

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Alzi la mano a chi piacerebbe lavorare nella Bottega insieme a Ester! Varie specie di fiori, il profumo del caffè nell'aria, la possibilità di esprimere sè stessi con creatività, la propria amica, e non tralasciamo lui... Elias. A proposito, come vi è sembrato il dialogo tra lui e la nostra protagonista? Fatemi sapere che cosa ne pensate di questa parte nei commenti! A presto, con la prossima❤

Saiph - La mia stellaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora