Capitolo 41.3

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Avrei dovuto essere con lui, correvo e non pensavo a che cosa calpestavo, il nero friabile tra le caviglie, continuavo nella mia fuga per la terra dei moribondi, con la follia di chi non aveva niente.

Ero più spenta di quanto lo fosse colei che, con la coda dell'occhio, avevo intravisto muoversi, usare quelle forze che la stavano portando a cadere in sé stessa, come un cumulo di reliquie.

Stavo perdendomi perché la verità mi aveva già fatta perdere, e toccata dalla cascata di frammenti scuri, mi sembrava di poter sentire le dita di Elias sfiorarmi la gola, e ritrarsi.

Non ero stata in grado di capirlo prima, che ero stata amata in tanti modi, così, che Zeno mi aveva dato il tutto anche quando non lo avrebbe potuto avere indietro.

Non doveva essere evidente, per avere valore, soltanto essere, indipendente da qualsiasi riconoscimento, o corrispondenza, e continuare a fluire.

Lui sapeva che tra me ed Elias vi era qualcosa, ma non aveva mai smesso di aprirmi quel suo cuore di cui si era appropriato, pur non avendolo posseduto.

Nella corsa verso di lui, io sentii il mio, irreprimibile, e fu una sensazione talmente reale e monopolizzante, che avrei potuto descriverne l'esperienza in ogni sua sfumatura.

Zeno, io...

Ero a corto di fiato, di certo lo ero pure nel mio letto lontano dalla stella, forse questa chiarezza mi avrebbe svegliata con un grave attacco di panico, a cui sarebbero accorsi i miei genitori, o i vicini.

Era orribile pensare allo sfaldamento di lui in questa terra, a che cosa avrei potuto trovare al suo posto, ma non volevo e non potevo tirarmi indietro, non più.

Era tardi per non prendermi responsabilità, non l'avevo presa finora, e mi era costato più di quanto avrei potuto ammettere a me stessa.

Non potevo tenere dentro ciò che avevo bisogno di esprimergli, non potevo lasciare che restassero parole non dette, impigliate a un Nontiscordardime.

Era il mio turno di dare il tutto, anche se non lo potevo avere indietro, era la mia occasione di mostrare che avevo paura del suo ignoto, di finire impolverata dai suoi resti, ma che ero lì per lui.

Grida di sfinimento si levarono tra le sfoglie cadenti, non potevo sapere a chi appartenessero, e pensare che potesse essere Zeno a non farcela più, mi fece tirare fuori la voce al pari di un'ossessa.

«Aspetta, sto arrivando!» lanciai in un grido a tutti e a nessuno, al nero che continuava a posarmisi addosso, seppur nella velocità ne scrollavo via molto.

Non udivo altro che potesse dirigere il mio impeto, ero alla mercé del mio intuito, del mio accanimento disperato alla vita, laddove la morte aveva radicato il suo regno.

Era il momento più difficile e al contempo più forte nella mia consapevolezza, era avere raggiunto un punto di non ritorno, e capire di non aver fatto abbastanza.

La bambina che aveva scritto dell'amore su un foglio per le stelle, non era stata pronta a riceverlo, quando le era stato donato.

Non ero mai scappata in un cimitero sconosciuto prima d'ora a causa di qualcuno, ma dubitavo ne esistesse uno più atroce di quello in cui stavo irrompendo.

Era sporcarmi, e sentire il logorio della consumazione provenire da ogni angolo, era percepire la cagionevolezza e il sacrificio di chi aveva avuto, come catena legante, i desideri di qualcun altro.

Saiph - La mia stellaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora