Capitolo 38.1

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                                        Sincopato

Qualcosa di leggero e friabile pioveva dall'alto; come pioggia e velluto, mi accarezzava la fronte. Mi pettinai una ciocca con le dita, portandomela a esaminare davanti agli occhi.

Spolveri scuri.

Sottili minerali caduti dai capelli alle linee del mio palmo aperto, a interromperle. Erano questi a infoschire l'aria, tagliando di nero la mia visuale sul percorso.

Non so dove andare.

Gli scalini nel costone di roccia ne erano imbrattati, la discesa era un calpestio su arena dalla tonalità cupa, doveva essere cauta e misurata.

Poco più giù, lo notai.

Era qualcuno seduto di traverso su un piano, con una gamba piegata, e l'altra abbandonata tra i minuti frammenti che piovevano su di noi.

La sua matassa nera pareva assumere una certa lucidità a mano a mano che il pulviscolo si posava su di essa, le sue iridi verdi scorgevano la fine della scalinata come da lastre appannate.

Anche Emar è qui.

Ormai doveva avermi sentita scendere, ma il ragazzo non si spostò dalla sua posizione, neanche di un millimetro, rimase immobile come il soggetto di uno scultore, a guardare in basso, oltre ciò che consideravo visibile.

Aveva uno sguardo profondo, pareva proiettarsi in un momento diverso da quello presente, per farsi modellare dai suoi eventi.

Indecisa su quando muovermi per non disturbare la sua quiete riflessiva, attesi che si alzasse da solo, liberando il passaggio.

Non lo fece.

Allora proseguii di uno scalino, e di uno ancora, guardinga e concentrata, ne mancavano tre per arrivare a superare il suo, quando si voltò di scatto.

«Erameth valih ra», disse, fermo.

La sua voce mi pietrificò, lo fissai sorpresa, non avendo capito nulla della sua frase, pronunciata di getto, se non un tono che non concedeva replica.

Scossi la testa, cercando di comunicare con quel gesto che avrebbe dovuto tradurre il significato dal Tarkh alla mia lingua per renderlo chiaro.

«Ho detto di restare dove sei», si spiegò, la serietà sul suo volto intatta, accentuata dai volteggi scuri sulla sua pelle candida.

«Perché?»

La mia voce uscì più stridula di quanto avrei voluto, lui alzò un sopracciglio, come se mi stesse ancora valutando, come se alla sua mente stessi richiedendo un grande lavorio.

«Non è piacevole quello che troveresti, scendendo di altri cinquanta scalini», rispose, portando attenzione alla sua gamba distesa, disseminata di frazioni cadute dall'alto, e muovendola per scrollarle sulla pietraia.

«Se non lo è», ripresi, cercando soluzioni nell'imperscrutabilità della sua espressione. «Come mai ci siamo incontrati?»

Emar sembrò stordirsi per la mia domanda, come se si aspettasse tutto, ma non di doverne affrontare la risposta con me, le sue labbra si aprirono, e restarono vacanti alcuni secondi.

«Oltre ad avere alcune delle movenze di Iside, fai pure le sue stesse domande, vedo», commentò, con scaltrezza, mettendosi composto.

Davvero anche lei, quando era giovane, gli ha chiesto come mai si sono incontrati?

Il nome di mia nonna, tirato fuori da un contesto a me sconosciuto di Emar, pareva essere nuovo, un tomo intonso recuperato nel sottoscala di una biblioteca.

Saiph - La mia stellaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora