Capitolo 7.1

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Per te, salto


Vicini a Lungarno dei Pioppi, alternammo una camminata veloce a una corsa, in direzione del quartiere Isolotto, senza più parlare, neanche del nostro volo.

Zeno era diventato serio e concentrato, e io lo seguivo senza indugio, ignara di dove stessimo andando, di che cosa ci attendesse.

Davanti a noi, una passerella sul fiume, lo stretto ponte che portava a Piazzale Kennedy e al Parco Cascine, illuminata a led nell'oscurità.

Vi salimmo lentamente, rallentando fino a fermarci neanche a metà di questa. Cercai gli occhi attenti di Zeno, per capire, e lui mi fece segno di fare piano.

Fu allora che me ne accorsi. C'era qualcun altro lì sopra, oltre a noi, un'ombra nel vento tempestoso, che barcollava storta, girata di spalle.

La persona si appoggiò alla ringhiera, incurvandosi in avanti, a guardare la piena scura dell'Arno; era un uomo sulla cinquantina, e a mano a mano che avanzavamo lungo la passerella, lo riconobbi.

Trasalii, punta da spilli di ghiaccio, quando lo vidi salire sulla protezione e rialzarsi a fatica, in bilico tra il ponte dove eravamo e l'acqua impetuosa del fiume.

«Signor Berti!» lo chiamai, agitata. La mia voce si liberò nel vento, scaraventandosi fino a lui, costringendolo a mettermi a fuoco.

Il padre di Emma sussultò non appena mi vide, e la sua espressione fu un misto di incredulità e colpevolezza che mi scioccò.

Aveva esagerato nel bere, ma non era un caso che si trovasse in quel punto sopra l'Arno a quell'ora di notte. Sapeva che cosa stava facendo, e sapeva chi ero io, nonostante non si aspettasse di essere interrotto proprio da me, l'amica di sua figlia.

«Mi dispiace, ho già deciso», biascicò, tornando a fissare il vuoto nero sotto di lui, come attirato da qualcosa di soggiogante che non riuscivo a vedere.

Un attimo di ritardo, un maledetto attimo di ritardo da parte mia e di Zeno, ed Emma avrebbe potuto perdere per sempre suo padre.

Inspirai, chiudendo gli occhi, ed espirai. Ero a un punto critico, ma per quanto fosse difficile e sembrasse insormontabile l'ostacolo, ricordai a me stessa chi avevo accanto.

Tutto era possibile.

Dovevo solo crederci.

E fare del mio meglio.

«Che cosa pensa che ci sia dopo la morte?» domandai a quel punto, di getto. Era un quesito che mi ero posta spesso, dopo la scomparsa del nonno.

«Niente», rispose subito Alfredo, alzando la voce, a trafiggere il senso della vita stessa e del mondo. «Un tuffo e non ci sono più dolori e preoccupazioni, non c'è assolutamente niente!»

«E se invece non fosse così?» ribattei, caricandomi per lui, seguendo pensieri che si erano rincorsi nella mia testa per anni. «Se si continuasse a esistere in un'altra forma, ma sempre in questo universo che lei vuole tanto lasciare?»

«No, no!»

«Se la morte non fosse la fine, ma solo una prosecuzione, e fosse costretto a vedere tutti i giorni Emma piangere per la sua rinuncia, sapendo di averle procurato una ferita che non si rimarginerà mai?»

«Emma...»

«Sì, la sua unica figlia, che le vuole un bene dell'anima, e le porta coperte e cibo alla stazione, mentre lei è qui che sta provando a gettare da un ponte i suoi sforzi!»

L'uomo rialzò lo sguardo dall'acqua increspata, e si voltò di nuovo verso di me, infastidito e disperato.

«Non la merito.»

«Ma lei merita un padre!» mi uscì, quasi in un grido, con le lacrime che mi annebbiavano la vista. «Vivo!»

Il signor Berti fu colpito dalla mia reazione, e come se si stesse svegliando da un incubo, si mosse per tornare giù con me e Zeno.

Lo stavo convincendo, io... lo stavo influenzando a scegliere la vita!

Sì, per favore, sì.

Un piede messo male, e l'instabilità dovuta all'alcol, e Alfredo scivolò davanti a noi.

Spalancai la bocca, inerte.

Cadde all'indietro, con le braccia rivolte verso l'alto, in un ultimo saluto o in un tentativo di aggrapparsi a qualcosa che non c'era.

Gelai dentro.


Corsi verso il punto in cui era stato fino a un secondo fa, con il respiro mozzato in gola, e il cuore che mi distruggeva il petto da quanto picchiava.

Era finito giù, il padre di Emma era finito giù, e io non ero riuscita a fare niente per lui.

Assolutamente niente.

Lo vidi annaspare, sputare e inghiottire acqua, trascinato in basso da quella che pareva essere una voragine scura.

L'Arno si chiudeva sopra di lui.

Non lasciava scampo.

«Annegherà!» gridai.

Con un gesto atletico, Zeno salì sulla protezione fino a trovarsi nella stessa pericolosa posizione in cui si era messo Alfredo prima di scivolare.

Il ragazzo guardò in basso, e il fiume si accese di ovali di luce, oro che scintillava a cerchio sulle increspature provocate dal vento e dalla corrente.

«Ti ho detto che vengo dallo spazio», ricordò, dedicandomi un'occhiata determinata, che bloccava ogni possibile dissuasione. «Non ho mai nuotato, e a essere sincero, non sono sicuro di come reagirebbe il mio corpo al contatto con così tanta acqua.»

«Zeno, che cosa...?»

«Ma per te, salto.»

Per calarmi nell'atmosfera drammatica di questa parte, ho ascoltato "Rosalia - Dio no libre del dinero", canzone breve da brividi! Se vi è piaciuto il capitolo, lasciatemi un commento! La prossima parte uscirà tra pochi giorni

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Per calarmi nell'atmosfera drammatica di questa parte, ho ascoltato "Rosalia - Dio no libre del dinero", canzone breve da brividi! Se vi è piaciuto il capitolo, lasciatemi un commento! La prossima parte uscirà tra pochi giorni. A presto :-)

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