Gli stava peggiorando lo sguardo, la sua stessa ammissione. Era tumulto, quello che potevo soltanto vedere a spiragli, sotto le sue definite ciglia.
Era il suo finimondo pronunciato davanti a me, mentre lo sciaquio nella conca riempita della vasca teneva il nostro tempo.
Istanti di mirabolante stasi, nei quali il principio di ciò che era appena stato tra noi, schiavizzava entrambi.
«Per questo, a Monte Isola, hai pianto?» domandai, senza rendermi conto di dove fossi.
Mi aggiravo tra le trappole dissotterrate nei suoi occhi, cercavo di incontrarlo in profondità, e il mio braccio intorno alla sua schiena stringeva per riflesso.
«Non ero pronto», ammise, il viso di pietra, la durezza del suo corpo a sensibilizzare naturalmente il mio. «E non posso dire se ci sia un modo per diventarlo.»
La sua iridescenza era così lucida, non potevo distinguere se fosse per la malinconia di non sapere se avrebbe perso sé stesso in nome di un luogo, o per lo stimolante piacere che aveva appena ricevuto al collo.
Era innegabile, l'effetto che l'interruzione di quest'ultimo portava ad avere l'uno sull'altra, come se ogni nostra possibile scelta avrebbe avuto come retro immaginazione la sua ripresa.
«E' così terribile, questo posto?» osai, e quando il suo indice, medio e anulare mi sorpresero appena sopra il ginocchio, facendosi sentire in una pressione verticale, che solleticò il mio interno coscia, non mi ricordai più di averlo chiesto.
Eravamo nella discrezione, annacquati dal capzioso suono che si produceva alle nostre spalle, e bagnava fin i nostri sguardi, propagandosi nell'ala ombrosa del palazzo in cui eravamo segregati.
«Non è solo il posto a esserlo», rispose, le sue labbra al mio orecchio, ad addentarmi l'elice, filando con i suoi denti la mia pelle, succhiandola, e sensazioni logoranti rattrappirono il mio stomaco.
Dovetti premere il palmo libero al muro su cui mi aveva trascinata, per sentirne la scioccante freddezza, per tenere fede alla realtà, quando moti e scosse interiori dissuadevano dal restarvi.
Elias pareva aver stretto un patto con il suo controllo, lo sentivo volersi prendere ed azzerare con me, in un condiviso calando di ragionevolezza, ma non altrettanto chiaramente volersi dare.
Il modo in cui percepivo le sue dita stringermi ora la gamba, in cui volevo che si desse a me era efferato, il circuito del suo sguardo dall'alto al basso, dove mi stava carcerando per lui, era mesmerico, ma opponeva anche una sottile resistenza.
«Terribile è pure come hai sempre inespresso e inascoltato quanto vuoi», decifrai, pur consapevole che la sua precedente risposta non lo intendesse, un sussurro melato che lo spinse a ritornare ai miei occhi a confermarlo.
E una vulnerabilità così, valeva per una volta, due, cento, per tutti gli anni che poteva avere più di me, e quelli che avrebbe potuto aggiungere oltre.
Assoluta, la certezza che non potesse contestare ciò che aveva messo da parte durante la nostra conoscenza, che aveva continuato a notare di sé e a restringere.
«Quanto voglio?»
Era nella complessità delle sue pupille, dilatate mentre mi parlava senza farsi udire, senza dire una parola, nelle concavità della sua mano, dalle nocche serranti.
Era nella decisività con cui la mia gamba si era sollevata al suo bacino, piegandosi mentre tremava per non essere più lei la direttrice, ma il braccio di quel ragazzo.
Era nella sovversione con cui mi stava portando così con sé alcuni incespicanti passi, sotto la volta ombrosa del cortile, nell'edonismo con cui ascoltava il prolungarsi del suo nome nei miei respiri.
Era nel suo sdraiarmi sulla panchina, scolpita ad arte per essere un tutt'uno con la vasca, nel suo scendere avvolgente su di me e passare le dita libere sul pelo dell'acqua, per avvicinare alle sue labbra alcune punte castane che mi si erano bagnate.
Edenico, il suo sguardo dall'alto, fisso sui movimenti marcati e consecutivi del mio petto contro il suo, e poi sull'abbandono del mio viso, mentre baciava fili umidi di capelli.
Le sollecitazioni a cui il mio corpo era sottoposto dal suo, erano talmente molteplici e sature da non riuscire a fare nulla per i primi lunghi secondi, se non perdermi nello stillare di esse, e in quella visuale.
Mi sentivo tratta in una ipnosi insieme a lui, in cui il rilascio di tensioni era necessario per uscirne, o per restarvi succube; tutto della lenta frizione e liberazione delle mie ciocche tra il suo pollice e indice mi comunicava che agognava a saperlo.
I suoi occhi erano assottigliati, mezzetele di sogni scuri dai significati subconsci a cui si stava dando, mentre sorpassava i miei fremiti, al suo carezzare con le dita bagnate il mio labbro inferiore.
«Ci sono cose che non si dovrebbero volere fino a questo punto», asserì, con voce roca, quando sollevai un poco la testa.
Buonasera a tutti! Ogni capitolo è importante, ma il trentanove lo è in modo particolare per come lo sento io, potrei dirvi che è per questo che ci ho messo molto a tornare da voi, e in parte è così. Vi chiedo di fidarvi di me e attendere la parte che pubblicherò la settimana prossima con una buona dose di preparazione a momenti delicati, perchè ce ne sarà uno. Spero che le emozioni che volevo trasmettervi con questi paragrafi attesi di storia su Ester ed Elias vi siano arrivate❤
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Saiph - La mia stella
RomanceEster è una ragazza di venticinque anni che lavora in una caffetteria particolare, dove i caffé vengono serviti con decorazioni floreali. Quando la sua collega e amica Emma è costretta ad andare a trovare suo padre in un raduno di senza tetto, lei s...