Capitolo 42.1

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                                                                   Opulente


Sii cosciente, fai attenzione, la sua novella è questa, quando vi giungerai, e lo avrai davanti, non potrai più guardare altrove.

Emar mi aveva detto come stavano le cose, mi aveva messa sull'attenti.

Era l'effetto delle pareti indorate sulle increspature dei corsi, che saltavano a raggio da bocche lavorate poste a ciascun lato della loro base, per fluire dal maniero stesso fino a tracciati lontani.

Erano le balconate auree, l'imponente presenza sui letti rigonfi del fiume; era la forma morbida che era stata data alle vetrate e alle sommità d'oro, affinchè lo stabile fosse di uno splendore tale da essere inaudito tra le stelle, da non avere eguali.

Erano gli approdi che conducevano a porte sontuose, i cortili esterni tendati e gemmati, adibiti a punti di ritrovo, era la percezione di un rigenerante potere, che carezzava e rilassava d'in piedi con calamitanti influssi.

«Palazzo d'Oro è aperto.»

Non sapevo come trarmi dall'offerta, era la più magnificente che il mio sguardo avesse mai ricevuto, era una dimora con un'abbondanza così satura di magia.

Attraeva i desideri espressi sulla Terra a salire, ma era essa stessa desiderio e soddisfacimento, il solo vederla ergersi in un complesso d'oro, nel paesaggio irrogato di cui faceva il sogno, dava ai sensi una gioia audace.

«E' sempre aperto», precisò, rispettando i miei momenti di attonimento per quella residenza, incasellata nella sua costellazione come una spilla in una sottoveste color notte.

«A parte gli appartamenti, e poche altre aree private, è accessibile a chiunque. Immagino tu capisca come mai è tanto frequentato», continuò.

Sì, lo capivo. Avvertivo la memoria espandersi solo per avere la possibilità di farne la più vivida esperienza, lo spirito disperdersi per raccogliere prodigi e incanti.

«Avviciniamoci», dissi.

Ero talmente assorbita dall'edificio che, come un gioiello, si mostrava per essere tra le ricche fortune del cielo, che non mi resi conto che lo stavo già facendo.

Seguii uno degli sviluppi del fiume, dimenticandomi persino che Emar non era tenuto, che mi aveva fatto un favore a fare una deviazione, per arrivare al Primo Territorio, da dove mi aveva recuperata.

La sponda era fregiata con irregolari gemme incastonate in una lunga pavimentazione, una sola colorata di queste avrebbe potuto dare risalto e virtù anche al più inosservato dei visitatori.

Moderai quella parte irragionevole che mi avrebbe voluta a tastarle, trovarne una da provare a prendere con me, anche se soltanto per la durata del sonno che mi permetteva di essere in Saiph.

«Io non entro», si fece sentire Emar, restando di qualche passo indietro, con un tono di voce fermo, anticipando le mie intenzioni. «Non mi va.»

Mi girai, al suo commento, e notai che non voleva proprio, la sola vista di quel monumentale blocco d'oro lo stava repellendo, invece di attrarlo.

«Pensi a qualcuno», capii, avendo riguardo di non osservare la sua reazione.

A Siro.

«Penso a me», disse.

Annuii, chiarendo che avrei accettato le possibili conseguenze di non avere un accompagnatore.

Saiph - La mia stellaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora