Capitolo 40.3

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Il suo profilo si era sovrapposto al cielo, il verde e il blu gemmarono la natura, immortalandola per sempre in me, persino le fiamme dannose che continuava ad alimentare, suscitavano qualcosa.

Avrei dovuto volere che le spegnesse, che non provasse più a fare del male a Elias, e non rappresentasse un pericolo di un serio incendio per il mio paese, ma in qualche assurdo modo, lo capivo, e speravo che non si consegnasse a lui.

Era tutto così sbagliato, io stessa mi sentivo sbagliata a guardarlo, non sapevo che cosa mi stava accadendo, l'accanimento con cui fissava Elias era un rischio per la sua incolumità.

Fu soltanto quando Zeno riscese con le piante dei piedi al terreno, per provare a osteggiare ancora il suo Rih, che capii che quest'ultimo non si sarebbe spostato, e le mie gambe si mossero.

Mi ritrovai a essere nella visuale di Elias, con la mano che aveva afferrato il suo polso, e i battiti che si erano scatenati nel mio petto, al solo sentirlo lì.

Continuavo a tenerlo indietro, mentre i miei occhi erano entrati dentro quelle lucentezze del ragazzo che a Monte Isola, per una dorata notte, era stato mio.

«Non ho bisogno che tu mi copra», mi disse lui, il tono di voce che aveva note di dolcezza, sprofondate in altre oscure.

«Lo so, ma non posso farne a meno.»

Si arrestò a pochi passi da me, Zeno, il calore che emanava il suo alto fuoco era asfissiante, mi fece calare le palpebre e sentire debole.

«Allontanala», intimò, ma il suo sguardo era ora solo concentrato sul mio viso, mi sembrava di poter perdere i sensi da un momento all'altro.

Prima che lui potesse fare ciò che gli aveva chiesto, riuscii a stringerlo due volte consecutive con le dita, implorando in modo implicito di non ascoltare Zeno.

Distinsi di essere tirata per scambiarci il posto, Elias non si era liberato ancora dalla mia presa, anche se avrebbe potuto, e ciò mi diede una sensazione di potere, e una di piacere.

Le pienezza delle sue spalle nude era offerta alla luce della luna, accentuata dalla linea morbida della canottiera che indossava, e a me.

Mi era davanti, però, e io non avevo alcun modo di evitare che fosse fronteggiato, il timore che il mio gesto di fermarli potesse essere vanificato, mi diede difficoltà nei respiri.

«Lasciami, Ester», mi esortò, senza poter vedere la mia espressione a quelle parole. «Non voglio essere io a far riaprire la tua mano.»

Non era rispetto, ciò che mi stava mostrando, o meglio non solo, era un salto indietro al nostro comunicare muto, e percepirlo mi fece un effetto tale, che mi convinse davvero a farlo.

Allentai la presa, e lo svincolai, così come lo avevo vincolato, restando alcuni secondi a elaborare lo stato di trance in cui mi aveva rifatta cadere, senza nemmeno guardarmi.

Mi maledii, non appena il ragazzo fece partire un rapido pugno che Zeno intercettò e scansò per un pelo, in seguito, si dissolse e non si ripresentò, confondendo sulle sue reali intenzioni.

Mi trovai all'improvviso di fronte a due strabilianti colori che brillavano per gli impulsi, e la foga, e se dapprima questi erano scatenati da Elias, adesso lo erano, in modo nettamente diverso, da me.

Faticai a espirare, quando a sorpresa fece rientrare ogni tremolio incandescente nel suo tonico avambraccio, con l'intenzione non troppo velata di potersi avvicinare come voleva il suo impeto, molto di più.

Saiph - La mia stellaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora