Capitolo 30.2

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Organza di seta ricamata, un velo ondeggia tra noi, si ritorce, si solleva, al soffio dei nostri fiati.

Tutto ciò che riuscivo a vedere in quel momento, e tutto ciò che non riuscivo a vedere, coincidevano in lui. Elias era il pieno e il vuoto in quell'angolazione, sovraccarico ed esaurimento.

Non una parola in più dalla sua bocca, che non uscisse già dai suoi occhi, neri, come la distruzione di mondi, vibranti, come uno sbattere di ali dalle macerie.

Era energia sulla mia pelle, che si consumava in superficie, per rigenerarsi in profondità, che si trasformava ossessiva, e buttava giù e poi su, con violenza.

Si era appropriato dell'ossigeno, lo aveva costretto nel suo impuro respiro, rilasciando solo particelle di lui intorno a me, più grezze, ruvide, in grado di far saltare la corrente nello sgabuzzino, e quella nei miei pensieri.

La forma delle sue labbra era tesa, calata restrittivamente nell'aria, vicina quanto bastava per esigere sollievo, roboante, placante, mentre il suo busto piegato sulle braccia rette alla scala, aveva portato la Veronica Filiformis a pendere sul mio, a scorrere, facendomi uscire un incastrato sospiro.

Ero sensibile a ogni suo particolare, prigioniera nel suo mezzo cerchio di buio e bisogno, il metallo delle assi che premeva contro la mia schiena, freddo, come la tundra subpolare in cui mi stava per lasciare.

Una luce di liberazione, il suo viso scese ancora giù, la resistenza stremata, il mio petto che si agitava, e invocava, toccando ormai il suo, stirando alcuni petali per le palpitazioni, frastagliandoli tra di noi.

La punta del suo naso mi sfiorò la base del collo, mi girai verso la sua morbida guancia, rilasciando un sospiro di resa al suo orecchio, che sembrò fargli perdere per un istante senno e stabilità, mentre sentivo la scala dietro di noi muoversi a una sua nuova imperiosa stretta.

Avvicinò anche il labbro inferiore, aprendomi ai suoi meandri oscuri, e quando sfiatò calore sulla mia pelle, mi lasciai andare su un gradino, espirando il nome Elias sulla sua capigliatura nera, diabolica, fremendo incontrollabilmente in ogni parte di me.

Staccò una mano dal sostegno metallico, per metterla sulla mia schiena e portarmi ancora di più a lui, puntellandomi con le sue dita la maglia, dal basso all'alto, come a voler suonare una nascosta sinfonia su di me, creando nella mia colonna vertebrale note mai accostate, assordanti, sensorialmente folli.

Adesso chiedevo salvezza a ogni suo abbandonato respiro sulla mia clavicola, come se fosse marchiante per il mio corpo, come se avesse il potere di incendiarsi entrando in me, e non riuscivo più a rallentare il mio sui suoi sfreganti capelli.

La Veronica che si muoveva con le nostre maglie aveva un profumo di rottura, una perversa dolcezza attraversata da una colorazione viola di dolore, si sfaldava parzialmente sui nostri abiti, in ugual modo, mentre altri profumi, più velenosi, salivano intorno a noi, intossicando il cavato e intimo ambiente.

La sua bocca spinse fuori un no, riscaldato, ostinato, sulla mia spalla, che mi bruciò ancora di più, ma Elias non si tirò indietro con il suo fisico dopo quel soffio contratto, continuò ad arcuarsi in avanti sul mio, a ordinare che mi nascondessi segretamente con lui, in lui.

Era come se con le sue ali di farfalla volteggiasse in tondo, trasformato e maturo, un giro per ammirare la seta che aveva filato come baco, un giro per rendere chiaro che non era più obbligato a restare su alcun gelso e... un giro per portare via con sé ciò che voleva.

Fece scorrere la sua mano che stringeva ancora la scala alla mia destra lungo il suo asse cilindrico, a ribasso, provocando un suono che si unì a uno mio, per la viziosa umidità della sua lingua, che per un solo sbagliato secondo, aveva incontrato una mia vena tesa e pulsante, facendomi tendere ancora di più sotto di lui.

Saiph - La mia stellaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora