Capitolo 22.1

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                                                            Nella resina



«Bell'azzurro.»

Il suo tono di voce aveva un potere distorto, distruttivo. La parola era marcita subito tra le sue ammiccanti labbra, ogni positività suppurata.

Allungò una mano per me, l'umore nero sublimato nel colore della sua pelle, e nella sua impulsività io riconobbi la sua frustrazione.

«Bello, ma...» continuò, conscio che ogni secondo che trascorrevo con un altro ragazzo poteva allontanarlo un po' di più da me. «...siamo sicuri che uno nostro non avrebbe tutt'altra carica e forte tonalità?»

Un maremoto tempestava i suoi occhi mentre li spostava da me a Elias, poi ancora a me, e con un vascello la sua razionalità scivolava su un muro d'acqua.

«Zeno...»

Rimasi ferma a guardare il suo palmo aperto, le dita proiettate verso il basso in un esplicito invito, il tatuaggio di Saiph che ormai neanche il sole, coperto, poteva più rischiarare.

Cercai di svegliarmi da quel nostro sogno che pungeva più di una rosa selvatica, ma prima che potessi formulare una risposta, Elias si alzò in piedi.

La rigida compostezza del ragazzo conosciuto sotto la neve, flessa da quei cuori di carta schiacciati, dal suo momento di gioia interrotto.

«Tu...non riesci proprio a stare al tuo posto, vero?» chiese a Zeno, la venatura che s'inspessiva, scavando nella sua pietra compatta.

«No, spiacente.» ribatté lui, abbassando gli occhi su di me. «Non quando ho chiaro quale vorrei che fosse il mio vero posto.»

Subii quelle sue parole, trasportata in un incanto pungente, e a nulla servì ripetermi che dovevo preservare il mio cuore per proteggere Zeno.

Mi punsero, infilandosi come spine di un fiore dai petali d'avorio, e dai punti colpiti si espanse un dolore che fece gocciolare piacere.

Elias contrasse la mascella, lo sguardo scuro quanto le nuvole che stavano passando, veloci, sopra di noi, e si mosse impercettibilmente in avanti.

«Spostati da questa coperta.» disse, senza ammettere repliche. Nei suoi occhi sembrava che una scossa di terremoto stesse per far cadere una stalattite. «Ora.»

Zeno si scontrò con quello sguardo senza protezione, rimase ad attenderne le conseguenze, senza temere il parere delle insegnanti, o dell'intero gruppo di partecipanti alla lezione.

Era come se si stesse immolando al loro severo giudizio per me, per dimostrarmi qualcosa che solo io potevo davvero capire.

«Per favore, torna a posto.» intervenni, prendendogli la mano, prima che potesse venirgli in mente di usarla in altro modo su Elias.

Il mio tocco sembrò balsamo per lui, addolcente, livellò la sua presa di posizione, e smorzò la sua rischiosa e invadente fermezza.

Sollevò il braccio, e rimase a guardare, combattuto, la stretta tremante con cui lo stavo pregando.

«Ti aspetto tra poco, da me.» disse solo, il tono di voce ora più morbido, quasi fosse una carezza comprensiva che avrebbe voluto darmi.

Lasciai la presa, sicura che non si sarebbe battuto oltre, e lo guardai indietreggiare di qualche passo, fino a voltare la schiena a me e a Elias.

A terra, i cuori di carta che aveva schiacciato, sporchi, arricciati, impronta di come doveva essersi sentito lui nei nostri confronti.

«Mi dispiace tanto.» sussurrai a Elias, sentendomi in colpa, indirettamente, per la reazione eccessiva che aveva avuto Zeno.

Saiph - La mia stellaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora