Capitolo 4

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Victoria

Il dottore mi guardò con un'espressione stupefacente e rimase in silenzio ma continuai io il discorso, dicendo che Cole aveva mosso il dito, due volte.
«Victoria..» fece una breve pausa. Come sapeva il mio nome? «A volte succede credere che quelle persone stessero muovendo seriamente qualcosa del loro corpo.. ma la maggior parte delle volte sono allucinazioni, Cole non può essersi svegliato da un momento all'altro».
«Controlli coi suoi occhi, allora» incrociai le braccia e lo fissai con aria seria. Poteva immaginarlo, ma doveva provarlo coi fatti e io ero sicura che lui avesse mosso il dito per la seconda volta come se mi stesse dando un segno.
Mi fissò per dieci secondi. Io feci altrettanto.
«Okay, controlliamo» si sistemò il suo blocco note all'interno delle sue braccia e successivamente entrò in stanza.
Controllò le sue cose e poi ci guardò con aria disinvolta, mantenendo lo sguardo su Cole che, da quel che si poteva vedere, si era svegliato ma restava con gli occhi chiusi e, peggio: stava iniziando a muoversi stranamente.
«A-allora?» chiese balbettando mia mamma e alternando lo sguardo dal dottore a Cole.
La faccia del dottore era mascherata da espressioni dubbiose,
«Victoria, le tue non erano allucinazioni».
Grazie a dio! La sensazione fu come quella di essere in paradiso per una gioia così grande.
Sfortunatamente, il dottore continuò:
«Ma non è neanche uscito dal sonno.»
Mia mamma si mise davanti agli occhi la sua mano destra e io lo guardai con aria perplessa.
Eppure non capivo, si era mosso, due volte. Due cazzo di volte.
«Ecco..» il dottore sì leccò il labbro inferiore cercando di formulare un discorso a senso compiuto.
«Cole sta avendo una paralisi del sonno.»
«Cioè? Mi sta dicendo che-» fui interrotta nuovamente dal dottore.
«Ti sto dicendo che il suo corpo si rifiuta di muoversi, è bloccato nel sonno, in un sogno, probabilmente.»
«Quindi.. quindi è uscito dal coma?» chiese mia mamma spazientita.
Fece un'insignificante verso con la faccia e si precipitò da Cole per aiutarlo.
Il dottore però, ci invitò a uscire per possibili "svenimenti".
Noi seguimmo il suo consiglio e ci sedemmo con ansia su delle sedie.
Ero mangiata completamente dall'ansia, non sapevo che fare e, tra l'altro avevo le unghie fatte quindi non potevo mangiarmele.
«Mamma come si chiama questo dottore?» chiesi per pensare ad altro.
Fece un sorriso lieve, guardando in basso. «Liam Ferdon».
«Come-come sa il mio nome?» balbettai perché mentre stavo cercando di parlare di altro, il mio pensiero era a riguardo di Cole. Non mi sarei potuta immaginare una vita senza lui.
«Lui..sa il tuo nome?» disse; mi guardò con aria disinvolta, come se avessi appena detto che ero stata mangiata da un mostro.
Il corpo di Cole iniziò a fare scatti come se stesse cercando di levarsi da quel brutto sogno che stava facendo. Il dottore andò a chiamare un'altra dottoressa e io non riuscii ad astenermi dallo stargli vicino.
Entrai preoccupata nella stanza e mi avvicinai.
«Cole, va tutto bene» gli dissi con le lacrime agli occhi. Lo toccai nel braccio destro, cercando di calmarlo. Era una cosa un po' impossibile, ma almeno poteva sentire il mio contatto.
Dopo pochi secondi dal mio tocco, si calmò. Era strana come cosa e, appena il dottore fece rientro dalla chiamata con l'altra dottoressa che ci aveva raggiunto, lo informai di ciò.
«Sembra che il contatto che gli hai dato lo abbia fatto calmare» disse mentre lo controllava.
Sorrisi.
«Quanto ci vuole per far sì che si riprenda?» appena mia mamma disse questa frase, Cole iniziò ad aprire gli occhi, a muovere pian piano gli arti e dopo pochi secondi..
«Che cazzo è successo?» rimasi a bocca aperta poiché fossi rimasta sollevata dal suo risveglio, e poco dopo sorrisi per la sua solita educazione che ha sempre avuto nel dire le cose.
Il dottore disse sia a me che a mia mamma di lasciarli per un po' soli e, una volta fatto ciò si potè entrare.
«Entra prima tu» mi propose mia mamma con un lieve sorriso.
«Sicura?» le chiesi.
«Si, alla fine era a te che doveva fare una sorpresa» mi fece una linguaccia buffa, io proseguì coi miei passi fino a andare dentro alla stanza.
«Hey» mi salutò.
Avevo le lacrime agli occhi, sia per rivederlo dopo tanto ma anche per vederlo risvegliato dopo il brutto incidente che aveva subito.
«Hey» ricambiai il saluto e mi misi al suo fianco. Gli accarezzai di continuo il ciuffo che si faceva toccare solo da me, dalla sua sorellina, e non da altri o sopratutto altre.
Infatti, odiava che certe ragazze si potessero permettere di accarezzare i suoi capelli. Figuriamoci quindi i ragazzi.  
Mi scese di nuovo una lacrima che bagnò il suo petto vestito dalla divisa.
«Stai piangendo» mi disse a voce bassa e sorridendo.
«Vorresti che fossi felice e che sorridessi, allora?» Scherzai ironizzando.
Lui ricambiò la risata.
«Sono qui, accanto a te. Sono vivo» mi disse.
Lo abbracciai all'immediato facendomi scivolare addosso un pianto immenso.
Come detto in precedenza, il mio pianto era un mix di emozioni.
Felicità, sollievo..anche tristezza.
«Mi sei mancato tanto tato»
«Anche te tata».
Ci chiamavamo così sin da piccoli, avevamo entrambi il vizio di chiamare così le mie bambole, lui mi faceva compagnia a giocarci; così, una volta che nostra mamma da grandi ce lo spiegò, noi ci demmo quello stupido soprannome che non levammo più.
Solitamente, Cole mi mordeva il naso chiamandomi in quel modo e io invece, gli davo un morso sul mento, poiché io, a differenza sua, ero bassa e non arrivavo al suo naso.
Dopo tante chiacchiere e domande mi fece una domanda del tutto inaspettata:
«Con la ginnastica ritmica? Hai..»

18 febbraio di due anni precedenti.
Al momento era in corso una delle gare più importanti per il mio percorso da ginnasta, era il mio turno con le clavette. Ricordo che non erano le mie ad essere maneggiate a quella gara, poiché le mie si erano rotte i giorni precedenti.
Non riuscivo a gestirle bene e sopratutto, proprio in quella coreografia, c'era un pezzo che non riuscivo mai a fare. Andai in panico, non mi riusciva solitamente e figuriamoci con clavette non mie.
Provai. Le clavette furono lanciate dalle mie stesse mani in aria, per poi prenderle quattro secondi dopo.
Alla presa però, mi scivolarono dalle mani, cadendomi in testa.
Ero del tutto stordita e..

«Victoria? Mi sentì?» mio fratello mi riportò al presente.
Non riuscivo a pensare di nuovo a quella brutta sensazione, di quegli strumenti duri come pietre che caddero esattamente in testa.
«Si» dissi seguendo la risposta con lieve sorriso.
«Quindi?» Con la ginnastica come va? L'hai ripresa?» mi chiese di nuovo.
«Mh..no» fissai senza un motivo un punto davanti a me, ero persa nei ricordi e gli stessi mi rincorrevano secondo dopo secondo.
«Forse..avrei dovuto evitare.»
«Non importa, so che quando me la sentirò...» dissi.
Restammo per cinque secondi in silenzio,
«Invece con la scuola?» cambiò argomento per evitare un altro pianto.
«La inizierò quando starai meglio, per ora sono scossa da tutto quello che è successo e non ce la farei a concentrarmi. Voglio passare tantissimo tempo con il mio fratellone prima che..» non continuai la frase, la continuò Cole per me:
«Riparta..no, Victoria» mi sorrise lievemente «resterò quà, non ripartirò»
Non credevo a quello che stavo sentendo ed esplosi dalla gioia in un abbraccio fortissimo che gli diedi, facendo comunque attenzioni per le sue condizioni.

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