Capitolo 5

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Victoria

Ero in bus ad ascoltarmi le mie solite canzoni.
Amavo la musica, era una leggerezza, era un qualcosa che riempiva quel vuoto dentro me, era semplicemente tutto.
Era sempre lì a consolarti, ad ascoltarti e vederti piangere o ridere senza mai giudicarti.
Non ti avrebbe mai deriso, invece le persone si, eccome se lo avrebbero fatto.
Mi stavo dirigendo alla palestra di ginnastica ritmica, avevo deciso che avrei riniziato e quindi stavo andando ad allenarmi di nuovo, per la prima volta dopo due anni.
Non ero molto sicura della mia scelta e non avevo pensato fino a ieri a questa questione.
Ne parlai con Chanel, mi disse di riprovare.
Ritornai al presente dai miei ricordi e dalle sensazioni che mi provocava la musica quando il bus fece una brusca frenata, così all'improvviso.
Mi guardai intorno e, da quanto la musica mi aveva messa in un altro mondo, non mi accorsi che in bus eravamo solo due passeggeri, cosa piuttosto strana dato che solitamente eravamo in tanti a  quell'orario.
Mi alzai insieme a un uomo, l'unico passeggero insieme a me, e avanzammo verso l'autista per vedere cosa stesse succedendo.
Non si riusciva a vedere nulla, l'autista si agitò e ci disse di scendere immediatamente.
Così facemmo e notammo che l'autista aveva involontariamente investito una signora incinta che stava..letteralmente sanguinando.
L'autista chiamò subito i soccorsi che arrivarono poco dopo, insieme alla polizia.
«Oh merda» sussurrai tra me; prima di tutto perché ero in ritardo e tra poco la palestra avrebbe chiuso per l'entrate ed inoltre perchè quella povera donna, tra l'altro incinta, era stata messa sotto in una maniera terribile.
Le sirene dell'ambulanza si fecero sempre più vicine, comprese quelle della polizia.
Quest'ultima, appena scese dalla macchina, ci raggiunse.
«Salve, purtroppo l'autista non ha la possibilità di accompagnarvi a casa, o dovunque dovevate andare. L'autista che lo sostituirà arriverà tra circa un quarto d'ora, siete disposti ad aspettare o andate di fretta?» ci chiede cordialmente un'agente.
«Io posso aspettare, vado con calma» disse l'uomo affianco a me.
«Io andrei di fretta, ma se necessario posso aspett..» cercai di dire, la mia voce venne interrotta dalla radiolina che l'agente stesso accese.
Bisbigliò qualcosa a un'altro agente, suppongo.
«Arriverà un'aiutante che ti porterà nel posto in cui eri indirizzata, tranquilla» mi disse sorridendomi.
Annuii e aspettai questo 'aiutante'.

Dopo circa cinque minuti una Maserati nera si posò davanti al mio sguardo.
Di solito non mi piacevano le macchine lussuose, o meglio si ma non così tanto da volerne una.
Non so, però, se questo situazione mi avesse fatto cambiare idea, era affascinante la sua entrata.
Ancora più affascinante una figura muscolosa, alta, che avevo già visto da qualche parte.
Era con un paio di occhiali e avanzava verso di noi con un'aria piuttosto sensuale.
Quando ci si avvicinò si levò gli occhiali e lo riconobbi da subito: era il ragazzo della discoteca che ci provò con me.
«Papà» chiamò, facendo spostare l'attenzione dell'agente su di lui.
«Oh, ciao figliolo» gli disse l'agente. Ormai sapevo che fosse suo padre.
Bene, bene, bene. Quindi proprio lui doveva accompagnarmi. In palestra.
«Devi accompagnare questa ragazza a...» L'agente aspettò che finissi la frase per lui, e me ne accorsi dopo.
«Oh. In palestra, dovrei andare in palestra»
«Bene, sei nelle sue mani» mi disse per ultimo l'agente accennandomi un sorriso cortese.
Il moro mi stava fissando da quando giunse in quella postazione, e la cosa era alquanto imbarazzante.
Alzò un angolo delle labbra, innescando un sorriso che stava cercando di non fare.
«Andiamo, quindi? Sarei piuttosto in ritardo» dissi spezzando quel silenzio imbarazzante tra di noi.
«Si, certo» girò le spalle e si diresse verso l'auto poco distante dalla nostra posizione.
Mi aprì lo sportello da gentiluomo, cosa che non era affatto dagli atteggiamenti che avevo visto in discoteca.
«Ce la faccio da sola, grazie», non avevo bisogno di lui.
«Okay, va bene» si rimise gli occhiali e si diresse dall'altra parte dell'auto per salirci.
I primi due minuti del tragitto non dicemmo nemmeno mezza parola.
A me, però, il silenzio non piaceva, così dissi qualcosa tanto per spezzare l'imbarazzo.
«Perché indossi gli occhiali? Non mi sembra che ci sia il sole» guardai aldilà del finestrino e il cielo rispecchiava la mia frase, ovviamente; alla fine non dicevo cose a caso.
«I miei occhi sono molto espressivi, li copro quando c'è qualcosa che non voglio far vedere» rispose, non distogliendo lo sguardo da davanti a sè.
«E cosa vorresti coprire, in questo momento?» In verità non me ne fregava qualcosa. Anzi, volevo stargli alla larga per le tante voci che giravano sui social, ma a quanto pare..
«Perché dovrei dirtelo?» replicò.
Non detti un' ulteriore risposta. In fondo aveva ragione, perché avrebbe dovuto dirmelo? Non mi conosceva neanche.
Dopo poco, interruppe di nuovo il silenzio calato tra di noi:
«Quindi dov'è che ti devo portare?»
«Alla palestra accanto al supermercato.» non sapevo il nome di essa, quindi detti una risposta poco completa.
«Quale..supermercato?»
«Non posso sapere tutto» dissi.
«Ma almeno il nome della palestra in cui vai ad allenarti si»  per la prima volta spostò il suo sguardo da un'altra parte oltre che davanti a sè. Mi guardò mordendosi l'interno della guancia.
Dopo averla cercata su internet gli riferii il nome della palestra.
Avevo mille domande da porgli, ma sarei risultata stressante, o ancor peggio, interessata.
«Non ti aspettavi fossi io a darti un passaggio» disse con certezza.
«No, infatti» mi presentai con totale indifferenza, sapevo bene quali voci girassero su di lui e ciò non mi faceva contenta di essere in macchina con lui.
«Sei nel mio stesso corso di criminologia». Non smetteva di parlarmi, perché non restava zitto e faceva soltanto il suo incarico dato dal padre?
«Impossibile, non hai la mia età» risposi.
«E te che ne sai?» inclinò la testa in basso per guardarmi attraverso gli occhiali da sole.
«Voci, le voci che girano di te su internet»
«Ce ne sono tante?» disse con un lieve sorriso.
Annuii,
«Spero ci siano anche quelle buone, allora». Le buone non c'erano affatto.
A parte..
«Per levarti il dubbio ti dico di no, a parte i commenti delle cagne in calore che parlano delle tue forti abilità a letto».
Fece una smorfia con la faccia.
«Oltre a queste anche le attenzioni, quelle non ci sono scritte?» mi domandò.
«Beh, no.Non credo tu le dia così tanto a parte nel sesso» spalancò gli occhi, sollevò poi un angolo delle labbra carnose che sembravano essere disegnate.
«Oh, smettila. Anche a te piacerebbero» lo disse con sicurezza, gliela spezzai subito:
«Da tipi come te sicuramente no»
«Si, certo. Non ci credi nemmeno te» scherzando sorrise.
«Le attenzioni non valgono nulla se le dai a tutte. Sono belle se le dedichi a una sola persona.»
«Hai ragione» ammise.
«Fermati! È qui la palestra» lo dissi così improvvisamente che frenò all'immediato, facendoci sobbalzare in avanti.
Mi mise il suo braccio pieno di vene dinanzi a me, per proteggermi dalla frenata.
«Magari, la prossima volta, puoi dirlo con anche più calma» mi disse furioso.
«Scusa cucciolotto, vado di fretta». Mi alzai subito dalla sua macchina perfetta e mi incamminai verso l'ingresso della palestra.

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