Capitolo 19

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Victoria

Venerdì era arrivato in fretta e io mi stavo recando all'aeroporto per prendere Chanel.
La cosa che era follemente folle era che mi ci stava portando mio padre.
Mio fratello era sempre all'università e di certo non lo avrei chiesto a Tobias, perciò mi limitai alle sue parole, "puoi anche non parlarmi, almeno permettimi di portarti" e via dicendo..
E in effetti stavamo entrambi zitti, come se al primo momento in cui la nostra bocca si fosse aperta ci avrebbero sparato.
Gli tirai delle occhiate per analizzarlo. Perché aveva insistito così tanto per portarmi all'aeroporto? Magari si sarebbe limitato, come al suo solito, a chiedermi di prendere un taxi, cosa che decisamente avrei preferito.
Ma non feci storie per non sembrare lagnosa.
«Perché sei diventata così..fredda, muta? Di solito-», aprì bocca per chiedermi una domanda del genere. Detti una semplice risposta che era l'unica che potessi dare:
«La vita. Se sono quello che sono oggi è solo grazie alla vita..ai suoi sbagli, ai suoi errori, ai suoi dolori, al suo destino.» potevo sembrare una poetessa, anche dal punto di vista di mio padre che non si trattenne dal girarsi ad ammirarmi colpito una volta conclusa la frase.
La vita è piena di conclusioni affrettate che causano dolori, sofferenze, sbagli..forse anche i più grandi della tua vita e così rimangono.
Ma sopratutto, la vita ha il suo destino.
Il destino era già deciso, e non da te, non da un tuo genitore o da un tuo amico; ma da lei, la vita.
Quel giorno mi sentivo piuttosto ispirata.
In quei primi momenti passati da mio padre non passava quel treno chiamato "felicità"; o meglio, passò ma solo in un'istante, il tempo giusto per vedere quel treno sfrecciare via.
Perché come detto da Leopardi, la felicità è solo una pausa tra un dolore e l'altro.
Mi sentivo bene, avevo trovato Sarah, Grace, forse anche Kimberly e Britney, ma vi era qualcosa di più ansimante. Qualcosa che lasciava un taglio profondo, come un taglio che non ti ricordi da dove è provenuto.
Forse era il fatto di mio padre, si; vederlo ogni volta mi angosciava a sapere che molte mie conoscenze avevano una famiglia in intero. Passavano le giornate di Natale insieme, si scambiavano regali.
O se i genitori erano separati, si sentivano in contatto con la madre o con il padre. Andavano a stare per un po' da suo babbo e un pò da sua mamma.
Invece io non avevo quel privilegio, mi trovavo lì, solo per scelta di mia madre.

«Siamo arrivati, ti aspetto quì» mi comunicò mio padre.
Stavo aspettando agli 'arrivi' Chanel che sembrava non arrivare più, ma dopo dieci minuti la vidi camminare sensualmente, come sempre, e come una diva che stava arrivando in un posto da conquistare.
Indossava gli occhiali, un top a maniche lunghe poiché facesse freddo e dei jeans che erano proprio all'altezza della sua moda.
Appena mi notò muovere la mano per salutarla si abbassò gli occhiali e mi sorrise felicemente per rivedermi.
Andai contro di lei e ci scontrammo in un abbraccio di eterni secondi.
Forse ne erano passati dieci, ma per noi valevano un'infinità.
«Mi sei mancata stronza».
Sentivo riavvolgermi addosso la sua fragranza alla fragola, dolce proprio come lei.
«Anche te.» dissi accarezzandola nel mentre del nostro abbraccio. «Vieni, ci sta mio padre a riprenderci».
«Ma stai scherzando? Tuo padre? Da quando in quà ti accompagna nei posti, poi?»
Inarcai il sopracciglio, «da oggi».
Giungemmo a casa dove volevo farle fare subito un bagno nella piscina interna;
La feci prima salire in camera mia, le prestai un costume per l'occasione e il suono di un telefono ci paralizzò, pensando a chi potesse essere.
«Oh, è il mio telefono.. mi sta chiamando mia mamma. Tu vai, dieci minuti e arrivo» mi disse.
Presi gli asciugamani e le ciabatte, mi recai in piscina dove trovai Tobias con un suo amico, che riconobbi subito: Nathan.
Quel tipo non mi piaceva, caratterialmente. Esteticamente molto, era pieno di tatuaggi e indossava una maschera facciale composta da sole espressioni aggressive.
Sapevo di lui che si scopava tutte le ragazze che trovava attraenti, e si vedeva.
Entrambi si voltarono dalla mia parte appena sentiti i miei passi, mi irrigidii per la presenza di Nathan, non tanto gradita. L'ultima volta, se non fosse stato per Tobias, mi avrebbe fatto bere qualcosa di cui non ero al corrente.
Andai comunque sicura in degli sdrai posizionati dall'altra parte, sempre con gli occhi di quei due psicopatici addosso.
Forse perché ero in costume e mi vedevano per la prima volta in tale?
«Oh, guarda chi c'è. Ciao stellina,come stai?» mi rivolse parola per primo Nathan.
Mi limitai a tiragli un'occhiata disinteressata per non rispondergli. Pensai a posare gli asciugamani nei lettini.
Tobias lo fece sussultare con un colpo alla spalla, poi venne verso la mia direzione.
«Che vuoi?» rivolsi a lui parola dopo che se ne stette per secondi persi all'aria a fissarmi.
«Tuffati in piscina». Si mise il mento sopra le mani appoggiate sul bordo della piscina.
Sembrava disinvolto dalla situazione.
«No. Sto aspettando Chanel»
«Chi sarebbe, sta Chanel?» domandò curioso.
Adesso ci voleva provare anche con lei?
«Che te ne frega? Vuoi flirtarci un pò per divertimento come fai con tutte?» replicai.
Risultati sicura di me stessa e con poco divertimento dalla situazione, a differenza sua.
«Non è vero, con te non ho mai flirtato».
«Solo perché sono la tua sorellastra, sennò saresti già caduto ai miei piedi». Feci l'occhiolino ironicamente, lui altrettanto la prese in simpatia.
«Si certo, te già mi sei caduta ai piedi anche se sai che sono il tuo fratellastro».
Si divertiva, e visto che si divertiva volevo farlo pure io:
«Che c'è diavolo? Hai così tanta confidenza in te stesso? Levatela subito perché hai sbagliato persona, se è con me con cui vuoi giocare».
«E te perché l'altro ieri non volevi che entrassi in bagno perché tu eri in accappatoio? Hai per caso paura che io ti veda nuda, bambi?».
Nathan ci stava guardando trattenendo delle risate che avrebbe voluto gridare, si vedeva perfettamente dalle espressioni dei suoi occhi.
Mi piegai mettendomi in ginocchia davanti al bordo, dove si trovava lui.
Mi mostrai attraente e in confidenza con me stessa sciogliendo i capelli e ondulandoli in aria per fargli sentire il mio odore buono, che presto sarebbe stato trascurato dall'odore di cloro.
«Paura no, disgustare si».
Mi rialzai quando vidi Chanel con tutto il suo solito splendore avanzare verso di me, imbarazzata dalla situazione.
Le feci uno schiocco di dita per farla svegliare; di solito era seducente, sicura di sé.
Lei se ne accorse e sciolse la coda alta fatta prima.
Nathan si girò subito a guardarla, quanto Tobias.
«Provaci e ti taglio quel cazzo minuscolo che ti ritrovi» dissi minacciosa con un sorriso più che finto.
«Gelosa?», si allontanò ritornando alla posizione di Nathan, «ti piacerebbe» sussurrai, anche se lui sentì ugualmente.
A parte ciò pensai a quello che avevo detto. Si vedeva palesemente che non aveva un cazzo minuscolo. Non sapevo nemmeno perché lo dissi, forse per aggirare la cosa.
Nathan invece non si allontanò nemmeno un secondo con lo sguardo da Chanel; alla fine come biasimarlo, Chanel era bella da paura, in costume poi faceva ancora più effetto.
Indossava un mio costume azzurrino che risultava bene con i suoi capelli chiari e che le stava divinamente.
Io invece avevo opzionato per un bikini di un rosa cipria, il mio colore preferito.

Ci mettemmo a sedere al bordo immergendo inizialmente solo le gambe, fino al ginocchio.
«Victoria chi cazzo sono quei due boni? Non dirmi che quello tutto tatuato è il tuo fratellastro perché non resisterei...» sibilò tra i denti riferendosi a Nathan.
«No, Tobias è quello affianco. Anche se pure lui non è che ha meno tatuaggi» specificai sorridendo.
Tobias non osava distogliere lo sguardo dal mio corpo, ricambiavo, ma con curiosità.
«Insomma, come va? Come ti senti? Hai ancora quei pensieri?» mi chiese preoccupata.
Purtroppo non stavo in un bel periodo.
I ricordi mi tormentavano la testa, non riuscendo a prendere sonno facilmente e non facendomi mangiare come avrei dovuto.
Quel brutto periodo non seppi decifrare da cosa era dato.
Forse dalla ginnastica ritmica. Non mi sentivo come prima, stavo andando poche volte in palestra perché ogni volta che ci mettevo piede quei ricordi dell'incidente riecheggiavano nella mia mente.
O magari, un'altro episodio che mi stava fisso in testa era lo stesso di quella sera in cui fui violentata.
Da quando ero tornata alla festa con Grace, non mi si levavano più i momenti del passato; erano come indelebili, derivati da un misero pennarello che voleva segnarmi il passato e restarmi sul corpo.
In ogni caso mi riscosse dai miei pensieri che mi stavano riaffiorando con uno schizzo d'acqua,
«Ci facciamo un bagno?»

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