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Bakugo

Dopo numerosi respiri riesce finalmente a renderli più regolari seppur con molta fatica, prendendosi ancora un attimo per calmarsi il più possibile.
Per via della sua posizione e concentrazione sul solo respirare, ho una visione più chiara delle sue braccia ed è ormai chiaro ciò che è successo sotto la sua manica, che vedo sempre più arrossata, nonostante speri davvero di sbagliarmi.
Non so da dove arrivi tutta questa voglia che stia bene, ma penso solo che mi faccia innervosire quanto abbia ceduto alla debolezza, io non sono mai arrivato a tanto.
Mi ripeto che sia così, ma temo davvero di sbagliarmi: non voglio pensare che mi preoccupi perché tengo a lui.
«D-devo andare in bagno» mormora dopo altro silenzio, stringendosi ora le braccia sull'addome, e ho l'impressione in questo modo che si sia reso conto troppo tardi di quanto sia stata esposta la macchia sulla camicia, troppo distratto da altre priorità.
«Riprendi ancora fiato prima o collassi qua»
«Ce la faccio...» ansima subito con una palpabile urgenza nella voce, trandendo ancora la sua perenne intenzione di far finta di nulla.
Cedo e accetto, quasi volendo vedere fin dove riesce ad arrivare: mi ripeto questo per zittire quella sensazione di preoccupazione che sento crescere, ma sicuramente mi sbaglio, non è così.
«Ti aiuto» gli propongo alzandomi davanti a lui per porgergli le mani, gesto a cui lui risponde con una sola dopo un attimo di esitazione, sorreggendosi al muro con l'altra, probabilmente per nasconderne il braccio.
E probabilmente sperava non l'avrei proposto, volendo forse rimediare ai danni sulla propria pelle, ma non ha scampo ora: arriverò in fondo alla questione.
Annuisce piano a sguardo basso, senza opporsi in alcun modo, e gli permetto di tenermi la mano fino ai bagni per l'impressione che stia ancora per crollare di nuovo da un momento all'altro.
«Puoi aspettare fuori s-se vuoi...» cerca ancora di convincermi prima di varcare la soglia dei bagni.
«Ti accompagno ho detto» insisto con più asprezza, come a voler compensare la troppa gentilezza che gli sto mostrando, ora e nell'ultimo periodo... Dio, che mi è successo? Dove andrò a finire?
Lo porto fino ai lavandini, lasciandolo quando si poggia con i palmi sul bordo dell'ultimo, in modo da potersi sorreggere anche contro la parete; indietreggia di qualche passo per abbassare la testa e cercare ancora di regolarizzare il respiro, rimanendo fermo in questa posizione anche una volta calmatosi completamente.
«Ti serve una mano?» chiedo con un velo di sarcasmo non vedendolo fare nulla, sottolineando che sembri essersi dimenticato come si usi un lavandino. Lui scuote la testa: sicuramente starà pensando a come muoversi senza farmi notare ciò che non sa io abbia già visto chiaramente.
Ma poi pare prendere coraggio e sollevarsi la manica destra e poi la sinistra, tenendo il braccio incriminato verso di sé per nasconderlo da ogni prospettiva da me, specchio compreso, prima di iniziare a sciacquarsi i polsi con l'ovvio sforzo di rimanere impassibile al contatto.
A quell'azione la rabbia cresce d'un colpo dentro di me e raggiungo il limite, così mi decido ad agire.
«Kirishima, non sono scemo, fammi vedere» lo richiamo dopo un sospiro per impormi di limitare i danni, lui sussulta e trema alle mie parole, tornando immobile nel silenzio colmato soltanto dallo scorrere dell'acqua ancora aperta.
«Cosa?» si azzarda a rispondere, appigliandosi ad ogni vano tentativo di prendere tempo più che distogliermi dall'idea, ormai cosa inutile.
«Smettila, lo sai benissimo» sbotto forse con troppa freddezza avvicinandomi di più e dopo un altro lieve tremolio riprende a singhiozzare, per poi puntarmi all'improvviso il braccio pieno di segni e sangue; sussulto al gesto e lo fisso incredulo, ma lui non mi guarda ancora. Tiene il viso coperto con l'altra mano, che abbassa poco dopo con un movimento rapido rivelando quel dipinto di lacrime e dolore.
«Va bene? Contento ora? Così puoi criticare ancora di più la mia debolezza!» quasi grida, rendendomi ancora più impossibile non rabbrividire per la scena già straziante, catturandomi con i suoi occhi sofferenti che sento penetrarmi direttamente nell'anima.
E mi sento improvvisamente in colpa, che schifo.
«Hey, io non...» cerco di dire, ma non sono capace a scusarmi, «non era la mia intenzione»
Tento di incrociare il suo sguardo, ma ha già distolto il suo appena dopo il coraggio di un attimo prima e lo vedo poggiarsi indietro contro il muro lungo cui scivola fino a terra, dove si rannicchia con le gambe al petto e le braccia incrociate sulle ginocchia, poggiandoci la testa.
Continua a piangere, sempre più forte, e non so davvero che fare. Mi abbasso davanti a lui provando a mettergli una mano sulla spalla ma lui sembra quasi spostarsi.
«Non volevo, non è come pensi» ripeto sperando mi senta tra le lacrime e soprattutto che voglia ascoltarmi... e purtroppo lo fa.
«E com'è allora? A cosa ti interessa se non per insultarmi?» lo sento rispondere ovattato per via della posizione e quelle parole non rimbombano solo contro le sue gambe, ma anche dentro di me
Mi sento immediatamente e inaspettatamente ferito, provando vergogna per quanto mi sia inutilmente cercato di aprire per aiutarlo senza che mi sia stato riconosciuto; ed eslpodo, non riesco a contenermi ancora.
«Perché mi importa di te Eijiro, cazzo!»
Un attimo di silenzio, solo l'impercettibile eco delle mie urla tra le pareti della stanza.
Non so se è stato per la parolaccia, per il tono o per averlo chiamato per nome, ma finalmente si blocca e stacca la fronte dalle braccia, alzando seppur con timore la testa per guardarmi.
Sostengo il suo sguardo solo per un attimo, poi faccio per tirarmi su con l'intenzione di andarmene: mi sono aperto fin troppo, non avrei dovuto.
«Katsuki, aspetta, ti prego...» mormora lui alle mie spalle, e forse è anche per me l'effetto del nome a farmi fermare, nonostante credessi che nulla avrebbe potuto in quel momento.
Ma lui mi fa mettere sempre in dubbio troppe cose, troppe certezze su cui mi porta a ragionare ancora e ancora.
Mi giro di nuovo incrociando le braccia, senza guardarlo per evitare di cadere nella sua trappola: il suo viso.
«Che c'è?»
Con la coda dell'occhio lo noto sollevarsi a fatica, tenendosi sul bordo dei lavandini per raggiungermi a passo stanco, costringendomi a guardarlo appena me lo ritrovo a pochi centimetri.
«Non lo penso davvero, scusami, ti prego... hai fatto tanto per me, lo so che non è come ho detto, ti prego...» balbetta in modo confuso ma che sento sincero, e mi viene confermato dal pentimento che vedo chiaramente nei suoi occhi lucidi, le guance ancora rosse per la vergogna e il pianto.
E non so perché, non so cosa mi porta a farlo... ma mi lascio guidare dall'istinto, come al solito; fisso ancora il suo viso, lo prendo per la camicia e lo bacio.
La trappola ha funzionato ancora.

[𝘶𝘯]𝘣𝘳𝘦𝘢𝘬𝘢𝘣𝘭𝘦Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora