Capitolo 2 - Il Dragon's Babies

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La mattina seguente mi svegliai con la testa pesante e gli occhi gonfi, segno che avevo pianto come una fontana.

Cazzo, odiavo piangere.

Non piangevo mai, solo per le cose gravi e che mi importavano veramente. E spesso neanche per quelle perché mi chiudevo in me stessa e non provavo più niente.
Solo un grande vuoto nel petto.

Autodifesa la chiamavo, ci avevo convissuto per tutta la vita.

Dopo tutto quello che avevo passato il mio cuore non avrebbe sopportato altra sofferenza e quindi ogni volta che si presentava qualche delusione mi chiudevo a riccio ed escludevo tutto e tutti.

Erano le undici del mattino, Ana era già uscita per andare a scuola. Studiava alla National Art School e come dice il nome stesso, lei amava l'arte.

Era davvero brava, spesso e volentieri la fissavo mentre dipingeva un paesaggio. Mentre lo faceva aveva sempre la lingua tra i denti per la concentrazione, si sporcava sempre i capelli e la faccia come se si dimenticasse di star utilizzando i colori.

La capivo, era un po' come quando ballavo ad occhi chiusi e non pensavo più a niente.

Mi stropicciai gli occhi e sbadigliai sentendomi come se stesse crollando il mondo intero.

Indossavo un pigiama con una ballerina stampata sul davanti. Immediatamente lo buttai dall'altra parte della stanza.

Non volevo pensare.

Mi preparai un caffè bello forte per darmi una svegliata e cercai di capire cosa ne sarebbe stato della mia vita d'ora in avanti.

Avevo un gruzzoletto da parte per le emergenze ma presto si sarebbe estinto. Avevo mollato il lavoro per concentrarmi sulla danza ma ora che tutto era andato a farsi benedire avrei dovuto organizzarmi diversamente.

Stare a casa non sarebbe servito.

Mi lavai velocemente e indossai la prima felpa e i primi jeans che mi erano capitati davanti. Quella mattina pioveva come se l'universo avesse percepito il mio umore e mi volesse fare compagnia.

Fantastico.

Il cielo era di un grigio scuro, l'aria frizzante e fresca, le persone correvano all'impazzata da una parte all'altra della strada.

New York mi piaceva per questo, perché era piena di vita. Mi ero trasferita qui perché avevo bisogno di un nuovo inizio, di cancellare il passato e di costruirmi il mio futuro. Mi ero trasferita lì perché volevo la mia indipendenza, volevo la mia felicità.

Con quella presa di consapevolezza decisi di fare una pazzia, una cosa che desideravo da sempre: un tatuaggio.

Esattamente così, su due piedi, senza pensarci troppo, senza sentire il peso delle conseguenze, entrai nel primo studio di tatuaggi sotto la mia vista, chiesi ad un ragazzo se potesse farmi un tatuaggio sul momento e con mia grande sorpresa rispose di sì, forse perché sembravo una disperata con le occhiaie che mi circondavano gli occhi.

«Che cosa vorresti fare?» mi chiese ridacchiando quando gli raccontai che era una decisione presa giusto un momento prima di entrare nel negozio.

Gli feci vedere uno schizzo di quello che avevo in mente già da un po' di tempo. L'aveva disegnato Anastasia quando mi aveva conosciuta.

Quando uscii dallo studio non ero ancora soddisfatta.
Non bastava tatuarsi per iniziare una nuova vita. Ma non ci volevo assolutamente pensare, non ora almeno.

Mi arrivò un messaggio.

"Alle 20 usciamo con gli altri. Obiettivo della serata: bere bere bere. Baci, la tua migliore amica di sempre."

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