L'ultima cosa che mi ricordavo era qualche stronzo che mi aveva caricato in macchina sotto mia richiesta e portato chissà dove, sempre sotto mia richiesta.
Avevo la bocca secca e la gola mi doleva, non riuscivo neanche ad aprire gli occhi. Qualcosa di duro e tremendamente ruvido mi scorticava la schiena, forse mi ero addormentato nel mio letto sopra qualcosa senza rendermene conto. Non mi importava, ero stanchissimo e sarei rimasto coricato solo qualche altro minuto... solo qualche altro minuto...
«Alzati. Coraggio.» mi ordinò qualcuno nella mia mente. Ora sentivo le voci. Fantastico...
«Mmh...» mi lamentai per il fastidio, parlava a voce troppo alta e io avevo un tremendo mal di testa.
Chi c'era dentro casa mia? Non mi importava. Ero stanco. Me ne restai ancora lì, fermo e con gli occhi chiusi quando un liquido freddo mi colpì dritto in faccia e me li fece spalancare completamente.
«Ma che cazzo!» sbottai e mi resi conto di non essere a casa mia... ma dove diavolo ero? E soprattutto, mi resi conto che quel qualcosa di duro e ruvido erano rametti e piante e che io mi trovavo proprio dentro un'aiuola. Un'aiuola dell'ospedale dove si trovava Alyssa. E davanti a me c'era proprio il dottor Anderson con una bottiglietta d'acqua vuota, quella che evidentemente mi aveva versato addosso.
«Che ore sono?» chiesi sfregandomi la nuca e stiracchiando la schiena dolorante.
Ero estremamente confuso, evidentemente i ragazzi di ieri sera mi avevano portato e anche lasciato lì. Coglioni. Irresponsabili. Presi un appunto mentale per ricordarmi di prenderli a calci in culo, anche se, probabilmente, la maggior parte della colpa ce l'avevo io.
Il dottore si guardò l'orologio al polso sinistro, corrugò la fronte e disse: «Sono le cinque, del mattino.»
Mi sollevai e la testa iniziò a farmi male, mi tastai le tempie e chiusi gli occhi. Ero sporco dalla testa ai piedi e avevo la giacca strappata da un lato. Cercai il cellulare, ma con grande sorpresa era morto e con me non avevo portato il caricatore. Fortunato, mi dicevano.
«Senta... avrebbe un caricatore per l'iPhone?» chiesi lentamente, ancora stordito dall'alcol ingurgitato ieri e dalla posizione che avevo assunto tutta la sera, anzi, la mattina.
«Nel mio studio. Vieni con me.»
Non avendo altra scelta, lo seguii per tutto l'ospedale, pazientando ogni volta che qualcuno lo fermava o per salutarlo o per chiedergli consigli professionali.
Il dottor Anderson aveva uno studio tutto suo, il che significava che probabilmente era un pezzo grosso lì dentro. Mi invitò a sedermi e mi porse il caricatore per il cellulare, poi aprì un armadietto e cercò qualcosa.
«Tieni, per il mal di testa.» mi diede una pastiglia e dell'acqua.
Chi meglio di un dottore poteva farmi passare i dolori che avevo in tutto il corpo? Sarebbe potuto andare molto peggio, ma provai una grande vergogna. Farmi trovare ridotto così, ancora mezzo brillo, buttato su un cespuglio fuori dall'ospedale non era il massimo. E in più sperai non sollecitasse questo piccolo accaduto alla polizia.
«Senta, dottore... mi spiace per questa situazione, è un periodo complicato per me.» mi scusai a disagio. Non avevo il coraggio di guardarlo ma lui sembrò rifletterci su, poi si appoggiò alla scrivania e incrociò le gambe all'altezza della caviglia.
«Sai ragazzo... avevi ragione. Avevi ragione sul fatto che la speranza è necessaria. Io ormai faccio questo lavoro da tanti anni e credimi che ci sono tante delusioni, non solo per le famiglie dei miei pazienti ma anche per me stesso. Non dimenticare mai chi ami, sii sempre così.»
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Bomba a orologeria
RomanceDARK ROMANCE - MAFIA ROMANCE ATTENZIONE! La storia contiene contenuti espliciti e non adatti a persone sensibili e soggetti minorenni. Alyssa ha sempre creduto nell'amore. Sin da bambina era tutto ciò che bramava, ma la vita gliel'aveva sottratto...