Capitolo 26 - Ripensamenti

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Nathan

Ma che cosa avevo fatto?
Che diavolo avevo fatto?
Mi sentivo uno stupido, avevo l'affanno come se avessi corso la maratona, mi sentivo letteralmente bruciare vivo. E la testa... la testa era un casino di immagini e pensieri.

Mi ero imposto di avere autocontrollo, di essere freddo e distaccato, di starle lontano.

Tutto questo perché io l'avrei dovuta mollare, prima o poi. Perché con me era in pericolo, lo era stata e continuava ad esserlo. Avrei dovuto farla soffrire, avrei dovuto fare lo stronzo.

Avevo avuto un giorno intero per pensarci, per convincermi su come dovevo comportarmi, su quello che avrei fatto per allontanarla e non mi era sembrato tanto difficile nella mia testa.
No. Mai avrei pensato che fosse così difficile. Poi lei era entrata da quella porta. Poi lei aveva posato gli occhi su di me e mi aveva detto silenziosamente "sei tu casa mia".

Ma qualcosa era andato storto dentro di lei e io mi ero sentito terribilmente in colpa. Perché quel dolore glielo avevo provocato io. Ma non sapevo come e perché.

Mi ero infranto in mille pezzi quando aveva iniziato a tremare e a piangere e a urlare come non le avevo mai visto fare. E avevo capito che proprio nel momento in cui aveva varcato la soglia di casa mia, lei aveva realizzato tutto. Si era resa conto di cosa fosse successo. E quello che prima sembrava solo un brutto incubo si era manifestato come realtà, proprio sotto i suoi occhi. E in qualche modo, era scoppiata. Si era lasciata andare, incapace di trattenere quella sofferenza dentro.

E io mi ero rotto.
E Matt si era rotto.
E pure Anastasia.
Tutti ci sgretolammo davanti a quella ragazza che era sempre stata forza pura per noi.

Mai avrei immaginato tutto quel dolore. Mai avrei immaginato che fosse possibile contenerlo senza impazzire. Eppure Alyssa viveva così da anni. Il dolore era stato così tanto che era svenuta. Non si era neanche resa conto di me che la chiamavo tentando di farla tornare da quel buco nero in cui si era infilata.

Ma non ci ero riuscito e il fatto che fosse svenuta era stato quasi un sollievo perché in quel modo tutto quello che stava provando era ormai finito.

Avevo persino chiamato il dottor Anderson dalla disperazione, ma lui mi aveva confermato che la maggior parte dei pazienti reagivano in questo modo dopo quel tipo di trauma. Alcuni avevano paura persino della propria ombra, ma mi aveva anche assicurato che tutto sarebbe passato con il tempo. Con il tempo, con le medicine giuste, con una vita sana. Poi mi disse di stare tranquillo e che per qualsiasi cosa ci sarebbe stato. Non gli risposi con nessun grazie, anche se avrei voluto ma... ero sconvolto e le parole non uscivano dalla bocca.
E in qualche modo ci credetti a quelle rassicurazioni.

Tutto sarebbe andato bene con il tempo. Mi ero ripromesso, per l'ennesima volta, che l'avrei lasciata andare, per la sua felicità, per la sua sicurezza. Ma tutto era andato a puttane. Tutto era andato a farsi fottere perché l'avevo semplicemente abbracciata e la mia mano era finita in fondo alla sua schiena spoglia. Avevo sentito il suo calore e dentro di me era scoppiato il finimondo.

Avevo smesso di respirare quando si era avvicinata ed era stato più forte di me entrare in contatto con lei. Non mi ero fermato quando la sua gamba si era appoggiata sulla mia coscia, non mi ero certamente fermato quando aveva iniziato a strusciarsi su di me.
Oddio. Al solo pensiero... stavo per fare dietrofront per andare a finire quel che avevo cominciato. Per alleviare il dolore che mi provocava il sangue che pompava nel mio cazzo.

Un ringhio sfuggì dalla mia bocca.

Quando mi ero trasformato in un animale?

Ancora sentivo quel suo fiore pregiato che cercava attenzione da me. Ancora sentivo i suoi lamenti, le sue preghiere di alleviare quel desiderio. E i baci. E quella lingua...
E io che le avevo infilato la mano nelle mutande.

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