Capitolo 24 - Dolore

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Alyssa

Era la prima volta da un mese e mezzo a questa parte che provavo a muovere le gambe, che provavo ad assumere una posizione diversa dall'essere coricata.

Avevo persino provato ad alzarmi, troppo velocemente tra l'altro, avevo tentato di stare in piedi ma la testa aveva iniziato a girare, le gambe erano diventate molli e non mi davano ascolto, il respiro era troppo corto, tutto il mio corpo diceva no categorico a qualsiasi tipo di movimento.

Ero testarda e ci avevo provato una seconda volta ma per poco non svenivo sotto lo sguardo di tutti gli infermieri.

Patetica.

Mi sentivo stanca, priva di forze, assolutamente, completamente, totalmente inutile. E odiavo questa sensazione. La sensazione di non poter fare nulla senza l'aiuto di qualcun altro, di non poter essere libera nei movimenti.

Tanto valeva mettermi in un passeggino e portarmi in giro come una bambina piccola, incapace di essere autosufficiente è troppo pericolosa per se stessa.
E più o meno era quello che avevano fatto.
Mi avevano "parcheggiata" su una sedia a rotelle come se fossi un'invalida, mi scarrozzavano in giro come un'anziana incapace di muoversi.
E tutto ciò nonostante i miei continui "Ce la faccio. Sto bene. Cammino da sola, grazie. Non voglio questo stupido affare. Mi lasciate provare da sola, cazzo?"

Dovevo ammettere che tutta l'equipe di medici e infermieri era stata fantastica con me, soprattutto molto paziente.
In particolar modo, il dottor Taylor Anderson si era affezionato a me, come se mi conoscesse profondamente, come se quasi sapesse quello che avevo vissuto veramente, come se fosse andato oltre le apparenze, ma era impossibile che lui sapesse dei Lambert... o di quella sera.

Poco prima dei miei imbarazzanti tentativi di camminare, Anderson aveva fatto una lunga chiacchierata con me su come mi dovrei - dovrò - comportare per riprendermi completamente dal trauma.

Prima di tutto un'alimentazione sana con pochissimi dolci, molti i carboidrati per recuperare le forze, e soprattutto non saltare nessun pasto. Come seconda cosa, gli esercizi riabilitativi per aiutare il mio corpo a riprendere movimento senza affaticarlo eccessivamente. Come terza e ultima cosa, dovevo prendere tre medicine diverse ogni giorno, per almeno tre settimane, che mi serviranno per i dolori post-trauma.
Non ero per niente contenta di questa lista perché mi sentivo bene, a parte il dolore al petto, la fiacchezza ad ogni minimo e semplice gesto, la difficoltà nel respirare e i muscoli in fiamme. Stavo perfettamente bene e nessuno sembrava capirlo.

«Non capisco perché debba stare seduta in questo aggeggio. Mi guardano tutti.» mi lamentai per l'ennesima volta. Ero imbronciata e di pessimo umore, almeno mi avevano aiutato a cambiarmi e indossare qualcosa di più coprente di quella misera vestaglietta da ospedale.

«Devi stare seduta in quell'aggeggio perché altrimenti svieni, Alyssa.»

Il sarcasmo di Anastasia era pungente mentre spingeva la carrozzina verso l'uscita dell'ospedale. Al suo fianco Matt sghignazzò, in mano uno scatolone con dentro le poche cose che mi avevano portato loro da casa.

Sbuffai infastidita perché se ci avessi provato una terza volta ero sicura che non sarei svenuta.

Stavo per bofonchiare qualcosa quando superammo le porte e una sferzata di vento mi colpì in pieno viso. Mi godetti quella sensazione di freschezza. L'aria sapeva di neve, di ghiaccio, di pulito, di libero. Mi sentii leggera come una piuma, nuova, rinata. Quasi mi ero dimenticata di quella sensazione, quasi non mi ricordavo il colore verde degli alberi, gli uccellini nascosti tra le foglie per ripararsi dal freddo, l'elettricità nell'aria, l'euforia delle persone che si sbrigavano, o che erano in ritardo. Tutto era nuovo, tutto era sano, puro, improvvisamente tutto aveva un valore in più, aggiuntivo. E avevo tutta l'intenzione di viverlo.

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