Capitolo 7 - L'inizio pt. 1

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10 anni prima...

Stavo parlando con la mia nuova amica Anastasia, aveva i capelli rossi come il fuoco.

Avrei voluto tanto averli come i suoi, ispiravano coraggio. Io volevo essere coraggiosa, ma i miei erano castani con delle semplici sfumature ramate. Troppo semplici.

Ora lei mi stava parlando di un nuovo ragazzo che le piaceva molto, Matthew, e io non facevo altro che guardarle i suoi fantastici capelli.

«Alyssa, mi stai ascoltando?» mi chiese gentilmente e mi scrutò con quei suoi occhioni verdi.

Annuii piano, cominciai ad ascoltarla veramente per non infastidirla ma mi resi conto che a me non era mai piaciuto nessuno. Non avevo amici, solo lei.
Mi sentii sbagliata per questo.

«Cosa si prova... a essere amati?» le chiesi distogliendo gli occhi dai suoi per guardare le sue sneakers pulite, poi guardai le mie vecchie, ormai da buttare.

«È la sensazione più bella del mondo! Ti riempie di felicità!» mi prese le mani, le strinse forte e mi sorrise.

Che stava facendo?
Perché mi stringeva?
Cosa significava?

«Ho un regalo per te.» mi disse e si portò la manina nella tasca dei jeans, poi la tirò fuori.

Un braccialetto.

Me lo rigirai tra le dita, aveva un cuoricino che pendeva, il resto era color argento, semplice e delicato e dietro il cuore c'era incisa una "A".

"A" di Anastasia.

«Non ti piace?»

Anastasia si allarmò.
Ma come glielo potevo spiegare che non mi avevano mai regalato niente di così prezioso? Nella mia vita avevo ricevuto qualche gioco sì, ma niente con un valore così inscindibile.

«È la cosa più bella del mondo.» la rassicurai e mi sentii improvvisamente piena, piena di felicità.

Questo voleva dire essere amati.

Le mostrai il polso in modo che me lo potesse allacciare e notai che anche lei indossava lo stesso identico braccialetto con il cuoricino e la "A" incisa dietro.

"A" di Alyssa.

Le sorrisi e incapace di mostrare tutti quei sentimenti guardai l'erba su cui eravamo sedute.

Il parco ormai si stava spopolando e i genitori di Anastasia iniziarono a venire verso di noi.

«Tesoro, è ora di andare.» la informò amorevolmente la mamma.

Anastasia si alzò imbronciata dicendo a sua madre che voleva passare altro tempo con me ma ormai si stava facendo buio ed era tempo di andare per lei e la sua famiglia.

«Alyssa, vuoi che ti accompagniamo a casa?» mi chiese la signora Wilson.

No. Non avrei mai permesso che persone così gentili vedessero in che modo vivessi.

«No, grazie signora. Abito qui vicino, sicuramente mia mamma mi starà già aspettando fuori.» mentii e sperai non leggesse nei miei occhi la vergogna e la tristezza.

Ma la mamma di Anastasia non parve avere dei dubbi, le stavo simpatica e si fidava di me.

Salutai la mia amica con un abbraccio e poi la guardai andare via stretta ai suoi genitori.

Cosa si provava?

Un peso nel petto mi costrinse a portare una manina proprio lì, dove ne sentivo l'esigenza.

Nel cuore.

Mi voltai e tornai verso la strada di casa.
Abitavo in una catapecchia, un cancelletto rotto portava verso un piccolo viale per poi arrivare fino a una porta vecchia e scrostata.

Nessuno mi stava ad aspettare fuori.

Sospirai ed entrai.

«Sono tornata.» annunciai a chiunque, tanto a nessuno importava.

Ascoltai in silenzio e udii solo strani rumorini provenienti da una stanza. Sapevo quale. Lasciai perdere e andai verso la cucina in cerca di qualcosa da mangiare. Nulla. Trovai solo biscotti secchi.

«Sei tornata...»

Una voce femminile si rivolse a me. Lei era alle mie spalle. Una sigaretta in bocca. Le occhiaie violacee. Il viso smunto. Era in intimo. La puzza di fumo che emanava mi riempiva le narici.

«Non c'è niente da mangiare, dov'è la spesa?»mi limitai a chiedere incavolata nera.

Ancora una volta non sapevo cosa mangiare. Ancora una volta non c'era niente a casa. Ancora un volta.

«Non l'ho fatta.» continuò a fumare.

«E dove sono i nostri risparmi?» alzai la voce, ma era sempre fredda e distante.

Era una corazza quella, una corazza che al momento si era un po' incrinata.

Lei si appoggiò allo stipite della porta con nonchalance. Non gliene fregava niente di me.

«Usati...» alzò le spalle e io pensai che per me non ci sarebbe stato un futuro. Non per una così, che viveva così.

«Questa casa puzza di fumo e alcol. Che diavolo stai facendo di là?» le chiesi anche se la risposta era ovvia, sapevo tutto, cosa faceva e come.

Spesso e mal volentieri avevo visto come si comportava e lei non faceva niente per nascondermelo. Ma a prescindere, io non ero stupida.

Andai verso la sua stanza e vidi un uomo nudo nel suo letto, di nuovo, e sentii puzza di... fumo e alcol, tanto alcol e non mi soffermai per indagare oltre, corsi via e le urlai: «Mandalo via! Subito! Se mi vuoi bene devi cambiare!»

Stavo tremando talmente tanto che le parole uscivano a tratti, per un attimo vidi un barlume di speranza nei suoi occhi ma poi sentii mormorare un "no".

Mi chiusi in cameretta e pregai Dio, pregai tutti i santi affinché finisse quell'inferno e quella sofferenza.

Poi vidi il braccialetto che mi aveva regalato Anastasia e pensai che io dovevo combattere per quel tipo di amore. Pensai che forse al mondo qualcuno esisteva. Pensai che quella donna... che mi aveva creato... non mi amava. Per lei erano più importanti le sue dipendenze. Ed era in quel momento che mi promisi che tutto sarebbe cambiato. Tutto sarebbe dipeso da me. Tutto.

E anche se non avevo i capelli rossi, io il coraggio ce lo avevo nel cuore.


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Piccolo spazio per me:
Questo capitolo è veramente triste ma ci aiuta a capire meglio chi è Alyssa. È stato difficile idearlo e scriverlo perché questa è la realtà non solo di Alyssa ma di tante persone. Spero che questo capitolo aiuti chiunque sia in difficoltà a trovare la forza dentro di sé perché il vero coraggio si può trovare solo in noi stessi. Spesso e volentieri siamo così presi da guardare tutto quello che ci circonda dimenticandoci l'importanza di scrutare nella nostra anima.
Spero che vi sia stato utile per delle riflessioni.
Se vi va fatemi sapere cosa ne pensate o lasciate una stellina.
-GS02

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