CAPITOLO QUINDICESIMO

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-Bel lavoro.- gli dice Cato appena mette piede a terra -Sei stato bravo con la ragazza.-

Le sue parole feriscono come coltelli mentre osservo le figure alcuni metri sotto di me. Gale guarda in ogni direzione tranne che verso gli alti rami dell'albero.

Mi ha portato da loro. Mi ha fatto credere di essere innamorato di me per guadagnarsi la mia fiducia, e poi mi ha portato da loro. Non riesco a credere di essere stata tanto stupida. E non credevo neanche che lui fosse tanto stupido. Davvero pensa che lo rispermieranno dopo questo gesto?

Il gruppetto ride e mi lancia minacce ma le loro parole mi attraversano come fossi rinchiusa all'interno di una bolla.

Sento qualcosa, qualcosa che si spezza dentro di me. Il tradimento è l'inganno più spregevole.

Lo osservo ridere con loro sapendo che fino a qualche tempo fa mi teneva stretta durante la notte quando dividevamo il sacco a pelo.

Ma questo non succederà più. Mai più.

Una lacrima solitaria mi riga la guancia quando i nostri occhi si incontrano e lui distoglie subito lo sguardo.

La asciugo con il palmo della mano stando attenta a non farmi vedere e poi rabbia e preoccupazione si impossessano di me. La tristezza tornerà, quando meno me lo aspetto, ne sono sicura.

Per ora sono senza frecce e senza Gale, per la prima volta in questi Giochi, sono completamente sola.

-Ehi ragazza di fuoco!- mi dice il ragazzo del distretto 2, -Piaciuto il caldo?-

Immagino le risate degli abitanti di Capitol City.

Non sento più niente, la mia bocca e il mio cervello non sono più in comunicazione e le parole escono senza che io le abbia pensate.

-Troppo per i miei gusti. Quassù si sta meglio, perchè non vieni a farmi compagnia?-

I piedi penzolano nel vuoto e il vento ni scompiglia i capelli bruciacchiati.

Cerco ancora gli occhi di Gale ma lui non sembra interessato a me, non più.

-Ecco prendi questo Cato.- interviene la ragazza del distretto 1 porgendogli arco e frecce. Il suo arco è di qualità inferiore, la corda non è abbastanza resistente e il legno poco pregiato, ma sono le frecce ad attirare la mia attenzione.

-No, farò meglio con la spada.- risponde lui.

Riesco a vedere l'arma, una lama corta e pesante che porta appeso alla cintura.

Do a Cato il tempo di issarsi sull'albero prima di ricominciare a inerpicarmi. Faccio un respiro profondo e provo a togliermi dalla testa quello che è successo, ma non c'è verso. Il ricordo del tradimento è impresso nella mia memoria, inciso e indelebile. Poi riprendo a scalare.

Gale dice sempre che gli ricordo uno scoiattolo per il modo in cui riesco a correre anche sui rami più sottili. Basta. Basta pensare a lui. "Arrampicati e non pensare" mi dico "arrampicati e non pensare".

Sono salita di altri dieci metri quando sento lo schianto e guardo verso il basso: Cato agita convulsamente le braccia mentre precipita insieme al ramo. L'atterraggio è violento e mentre spero che si sia rotto il collo, lui si rimette in piedi imprecando.

La ragazza con le frecce... sento qualcuno chiamarla Lux, però quanto sono ridicoli i nomi che la gente del distretto 1 dá ai propri figli. Questa Lux, comunque, si arrampica sull'albero finchè i rami non cominciano a scricchiolarle sotto i piedi e a quel punto ha il buon senso di fermarsi.

Adesso mi trovo ad un'altezza di venticinque metri. Lei cerca di colpirmi ed è subito chiaro che non ha idea di come si maneggi un arco. Una freccia va ad impiantarsi in un ramo poco lontano da me, ma pur sempre troppo difficile da raggiungere e c'è il rischio che muovendomi vada a mettermi maggiormente sotto il tiro sbilenco della ragazza.

Potrei ucciderli, ucciderli tutti, se solo le loro armi fossero nelle mie mani.

Di sotto i Favoriti si riuniscono e li sento grugnire tra loro, non riesco a staccare gli occhi da Gale che mi sta dando la schiena, è così lontano, sono venticinque metri ma mi sembra lontanissimo. È distante, troppo distante da me. Insopportabile. Eppure sopporto.

È sceso il crepuscolo, ormai, e il tempo utile per il loro attacco contro di me si sta esaurendo. Alla fine sento Gale dire quasi sottovoce: -Lasciamola là. Dove volete che vada? Ce la vedremo con lei domani mattina.-

Su una cosa ha ragione. Non posso andare da nessuna parte.

Il sollievo dato dall'acqua
dello stagno è scomparso, lasciandomi ad assaporare tutta la forza delle mie scottature, che però non coprono del tutto il dolore e il sapore amaro del tradimento.

Scendo di qualche metro, fino ad una biforcazione dell'albero e mi preparo goffamente per dormire. Mi infilo la giacca. Stendo il sacco a pelo. Mi lego con la cintura e cerco di trattenere i gemiti. Il calore del sacco è eccessivo per la mia gamba. Squarcio il tessuto, metto il polpaccio all'aria aperta e spargo acqua sulla ferita con le mani. Le mie bravate sono finite. Sono debole per il dolore e la fame, e la solitudine che provo mi sta logorando dall'interno. Anche se supero la notte, cosa porterà la mattina?

Appoggio la testa sullo zaino e chiudo gli occhi. La tristezza mi assale appena rilasso i muscoli. Mi rendo conto che il sacco a pelo è così vuoto e freddo senza un altra persona dentro. Mi sembra quasi che lo zaino sul quale sono appogiata si alzi e si abbassi ritmicamente come faceva il petto di Gale. È solo un'illusione.

Lacrime calde cominciano a scorrermi sulle guance quando mi accorgo che il mio mondo è stato appena stravolto. Gale era il mio punto fisso, la mia certezza. Sapevo che qualunque cosa avessi fatto lui sarebbe stato sempre lì con me per proteggermi e confortarmi. Quanto mi sbagliavo.

Sono sola.

Prim non c'è.

Mia madre non c'è.

Peeta non c'è.

Cinna non c'è.

E gale non c'è più. O forse non c'è mai stato.

I pensieri mi tormentano impedendomi di dormire, così mi ritrovo a fissare il fogliame circostante. Gli uccelli si stanno sistemando per la notte e cantano ninnananne ai loro piccoli. Escono le creature notturne. Un gufo grida. L'odore lieve di una moffetta attraversa il fumo.

Gli occhi di un animale, un opossum, forse, mi sbirciano dall'albero vicino, riflettendo la luce che viene dalle fiaccole dei Favoriti.

All'improvviso mi sollevo su un gomito.

Quelli non sono occhi di un opossum, conosco troppo bene il loro riflesso. Somiglia al vetro. In effetti, quelli non sono affatto occhi di un animale. La scorgo nell'ultimo, fioco, bagliori di luce. In mezzo ai rami, mi sta osservando in silenzio.

È Rue.

Da quanto tempo è lì? Probabilmente dall'inizio. Immobile e inosservata, mentre sotto di lei si svolgeva l'azione. Forse è salita sul suo albero poco prima di me, sentendo che il branco era così vicino.
Per un po' sosteniamo lo sguardo l'una dell'altra. Poi, senza muovere neppure una foglia, la sua piccola mano scivola fuori e indica qualcosa sopra la mia testa.

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Scusate se questo capitolo era un po' breve ma il prossimo sarà molto meglio.
Che ne dite, vi appassiona? Grazie mille per le visualizzazioni e per i voti e tutte le altre cose. Continuate così Vi ricordo, come sempre di passare a leggere l'altra mia storia e di seguirmi.
Grazie
Ali

I 74° Hunger Games: GalenissDove le storie prendono vita. Scoprilo ora