CAPITOLO VENTOTTESIMO

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Sopra le nostre teste compare l'hovercraft, e il terrore si impossessa di me mentre le mia vista è offuscata dalla lacrime. Non possono essere qui per Gale, è ancora vivo, respira ancora e posso salvarlo. Mi sdraio sopra di lui, attenta a non fargli male, per impedire loro di portarlo via. L'hovercraft sorvola le nostre teste e si allontana. Come se stesse aspettando, come se già sapesse che Gale non ce la farà.

Gale ha il viso pallido e trema di freddo nonostante il sole sia ormai alto nel cielo. -Cosa hai fatto?- gli sussurro ancora scossa dai singhiozzi.
-Qualcuno doveva farlo.- parlare sembrava un grosso sforzo per lui. -Senza di te non riesco a vivere, sono stato egoista, mi dispiace.- il suo sorriso debole mi scalda il cuore, ma la paura di perderlo mi stringe nella sua morsa e le mani mi tremano come foglie in autunno.

Strappo la maglietta intorno al punto dove è entrata la lama. Dagli insegnamenti di mia madre so che non devo rimuovere il coltello, ma so anche che se aspetto ad estrarlo per troppo tempo, la ferita potrebbe infettarsi. In entrambi i casi Gale morirebbe. Cosa fare? Che decisione bisogna prendere quando il ragazzo che ami dipende da te? Sono immobile e osservo il manico nero che spunta dal suo addome. Non riesco a pensare con i suoi occhi puntati addosso.

La sua fronte scotta, così prendo i brandelli della maglietta, li immergo nell'acqua del lago e glieli appoggio delicatamente sopra. È tutto quello che posso fare per ora. Ogni altra mossa potrebbe metterlo in pericolo.
-Ti salverò.- dico guardandolo negli occhi.
-Non voglio essere salvato.-
Le lacrime riprendono a scivolare giù dai miei occhi, sono incapace di trattenerle. Il mio cervello si è come svuotato. L'unica cosa che so è che sono impotente. Mi tremano le gambe e mi metto seduta per evitare di cadere. Non posso fare niente per lui, non sono in grado di fare niente. Vorrei che ci fosse mia madre, lei saprebbe come aiutarmi, darebbe risposta a tutte le domande che mi riempiono la testa. Se estraggo il coltello potrebbe morire dissanguato. Se non lo estraggo potrebbe morire per l'infezione. Sembra che piangere sia l'unica opzione rimasta.
-Non piangere.- mi rassicura e tenta di allungare un braccio per asciugare le mie lacrime, ma si ritrae, colto da una fitta di dolore.
Mi tampono le guance con la manica della giacca e sento nel petto montarmi una rabbia mai provata prima. Comincio ad urlare perchè la frustrazione mi sta divorando. -Perché l'hai fatto? Avremmo potuto trovare un altro modo! Avremmo potuto...-
-Non c'era altro modo, e lo sai.- mi interrompe bruscamente.
-Avevamo progettato, avevamo deciso cosa avremmo fatto una volta tornati a casa, non puoi abbandonarmi così. Non è giusto. Ti odio così tanto!- mi prendo la testa fra le mani e le lacrime scivolano prima sui palmi e poi lungo le braccia.
-Sai che non è vero.-
-Lo so.- sussurro Non potrei mai odiarlo.
-Vieni qui.- mormora. Parla sempre più lentamente e faticosamente.
Mi accoccolo al suo fianco e sento il suo respiro caldo che si infrange sul mio collo.
-Ti amo, Katniss.- la sua voce si sente appena.
-Ti amo anche io.- lo bacio e bagno anche il suo viso di lacrime calde. Rimaniamo così per qualche minuto. Continuo a cercare una soluzione, incapace di arrendermi all'inevitabile. Forse c'è qualche erba, qualche bacca in grado di alleviare il dolore o di curare un'eventuale infezione. Sfoglio mentalmente il libro dei miei ricordi su tutte le piante che conosco. Alcune potrebbero servire come antidolorifico.

-Vado a vedere se c'è qualcosa che può aiutarti qui intorno.-
-Katniss, non puoi fare niente. Smettila di provarci.-
-Smettila tu di impedirmelo! Prima che tu facessi questa immensa stupidaggine mi era venuta un'idea. Avremmo potuto salvarci.. potremmo salvarci se solo tu non me lo impedissi!-
-Okay. Scusa.- abbassa lo sguardo -Proviamo a finire questa cosa insieme.- sussurra lui.
P

rima che riesca ad alzarmi mi prende la mano e mi tira verso di lui per baciarmi. Mi accarezza i capelli e il viso e poi si allontana appoggiando nuovamente la testa sullo zaino.

Gli sorrido e mi allontano. Non capisco perchè voglia arrendersi così facilmente, non è da lui. Dovrebbe lottare per rimanere vivo, non pugnalarsi e abbandonarmi.

Faccio un giro intorno al lago, con gli occhi puntati sul suolo in cerca di qualunque cosa possa servire a donarci nuovamente speranza nella guarigione di Gale. Molte delle piante mi sono sconosciute e, dopo l'esperienza con le bacche, preferisco non toccarle. Sono a metà del secondo giro quando sento l'hovercraft avvicinarsi di nuovo, è da più di un'ora che volteggia sopra le nostre teste e mi sembra strano. Vedo delle bacche verde scuro e capisco che sono quello che stavo cercando. Nel Giacimento vengono utilizzate come antibiotico e antifolorifico. Mi abbasso per raccoglierle ed è in questo momento che il rumore del velivolo si amplifica. Guardo in cielo e vedo che è molto vicino al terreno. Poi guardo Gale. Estrae il coltello con un rapido gesto. Lascio cadere le bacche e corro più veloce che posso verso di lui. La treccia mi sbatte sulla schiena e le gambe mi sembrano pesantissime. Devo raggiungerlo in tempo.

L'hovercraft fa calare una piccola barella di metallo e Gale viene velocemente recuperato e portato via.

Corro anora per qualche metro e mi inginocchio accanto allo zaino con il fiato corto e le guance arrossate. L'erba verde è macchiata di sangue scarlatto e al suolo giace la giacca scura di Gale. La afferro e la stringo al petto. Sento odore di bosco e di casa. Rimango così, accovacciata al suolo a fissare il cielo che mi ha rubato la persona che ho amato di più al mondo. Incapace di muovermi e di pensare.

Non so dire dopo quanto tempo, potrebbe essere passata un'ora o cinque minuti, da quando l'hanno portato via il tempo sembra essersi fermato, le trombe iniziano a squillare.
La voce concitata di Claudius Templesmith urla, sovrastandole.
-Signore e signori, sono lieto di presentarvi la vincitrice dei Settantaquattresimi Hunger Games, Katniss Everdeen! Ecco a voi il tributo del Distretto 12!-

Arriva un altro velivolo e da esso calano una scaletta, ma non ho intenzione di alzarmi. Tengo stretta la giacca di Gale, l'unica cosa che mi è rimasta di lui oltre ai ricordi dolorosi. Dall'alto scende faticosamente un uomo che indossa una tuta bianca e che con facilità mi afferra e mi adagia sul primo gradino. Appena tocchiamo la scala la corrente ci immobilizza. Nell'istante in cui la porta si chiude dietro di noi e la corrente si arresta, io crollo a terra. Le mie dita stanno ancora stringendo con tanta forza un lembo della sua giacca che quando provano a portarmi via anche quella me ne accorgo subito. Urlo con tutto il fiato che ho in gola obbligandoli ad allontanarsi da me. Osservo l'arena fuori dal finestrino di vetro e tutta la verità mi piomba addosso come un macigno. Io sono salva, io tornerò a casa, riabbraccerò i miei cari. Gale è morto in questa arena. Non lo rivedrò più. Mi rendo conto solo ora di non aver smesso di piangere e urlare. Il dolore che mi squarcia è straziante e implacabile. Non lo rivedrò più. Sbatto i pugni sulle pareti dell'hovercraft con la sensazione di diminuire il dolore almeno un po'. Sulle nocche mi si aprono dei tagli quando, spostandomi dalle pareti, comincio a tempestare di pugni un basso tavolino su cui è appogiato un vaso di fiori. Lo rompo in mille pezzi e mi accorgo che assomiglia a come mi sento in questo momento. Rotta.

Medici in tenuta sterile, bianca, con mascherine e guanti, già preparati per operare, entrano in azione. Uno ha in mano una siringa con un lungo ago e velocemente me lo conficca nel braccio. La vista si appanna, il mondo comincia a girare e la voce mi muore in gola. Non lo rivedrò più.

Poi tutto diventa scuro.

FINE DEL PRIMO LIBRO

I 74° Hunger Games: GalenissDove le storie prendono vita. Scoprilo ora