CAPITOLO 10

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Sono seduta in giardino, un libro poggiato sulle gambe. Il vento autunnale mi accarezza la pelle e quasi mi fa il solletico. I capelli mi contornano il viso e di tanto in tanto sono costretta a scostarli da davanti gli occhi per poter leggere. La morbidezza dell'erba, schiacciata leggermente dal mio peso è in contrasto con le pagine ruvide del libro a contatto con la mia pelle, come in contrasto è questa pace con ciò che esplode dentro di me ogni volta che leggo una nuova frase: emozioni di carta più reali della realtà stessa.

A ogni pagina quei personaggi si fanno più concreti, come ritagli che prendono vita: volteggiano intorno a me, parlano, discutono, ballano, combattono. Mi ritrovo catapultata in una battaglia: guerrieri sfoderano le loro spade da un lato all'altro del giardino in un forte clangore; alcuni urlano a guerra, altri dal dolore di una lama che li trapassa; l'atmosfera è intrisa di morte. Poi un banchetto, con grandi quantità di cibo e di vino: grida di gioia dettate dall'ebbrezza, questa volta, risate di vecchi amici, chiacchiere allegre.

Cammino in mezzo alle scene che scorrono, una dopo l'altra, come se fossi una comparsa invisibile nella storia di quelle persone. Il limite tra quella realtà e la nostra è sottilissimo: cammino verso quel confine. Sto per superarlo: solo un passo e sarò dall'altro lato. Quando credo di essere ormai lì dentro, qualcosa appare davanti a me: un cancello. Mi guardo intorno cercando un'altra via d'uscita. Corro dal lato opposto. Penso di avercela fatta, ma poi, un muro. Penso che ci sarà un passaggio, da qualche parte, ma ovunque vado c'è un ostacolo che mi blocca l'uscita: sono rinchiusa. Improvvisamente, le possenti mura di mattoni che mi circondano, cominciano a stringersi attorno a me, sempre di più. Quando credo di stare soffocando il cancello si spalanca e un bagliore accecante mi investe liberandomi da quella presa salda e permettendomi di prendere aria.

Dietro il cancello una figura femminile mi esorta a raggiungerla. Non capisco chi possa essere. Mi avvicino. Correndo, arrivo al cancello, ma giunta all'uscita qualcosa mi impedisce di oltrepassare il limite, come una barriera invisibile. La figura femminile ora mi tende una mano, ma degli uomini arrivano a cavallo e la afferrano violentemente.

"Lasciatemi!" urla "Devo dirgli la verità! Hanno il diritto di sapere!"

Kaitlyn.

Riprovo a oltrepassare il cancello, ma niente: sono bloccata. Il cancello si chiude di scatto facendo un forte fracasso. Le mura ricominciano a stringersi. Sento delle voci confuse, quasi ovattate, che mi sommergono.

"L'istituto è un posto sicuro" è la voce del signor Dumont.

"Mi prenderò cura di tutti voi" questa volta è la signora Brown a parlare.

"Sarai bloccata qui per sempre" dicono all'unisono per poi cominciare a ridere, e la loro risata si mischia alle urla di Kaitlyn, quasi un eco, in lontananza. Le mura cominciano nuovamente a chiudersi. Non riesco a respirare. Mi tappo le orecchie e delle lacrime mi rigano il volto. Guardo verso l'alto l'ultimo spiraglio di luce prima di essere totalmente inghiottita.

Mi sveglio di soprassalto: era solo un incubo. Mi porto una mano alla gola e respiro profondamente, come se per davvero fossi stata soffocata.

"Che succede?" chiede Meg assonnata stropicciandosi gli occhi. Alcune delle ragazze si sono svegliate e mi guardano confuse, segnate dal sonno, mentre altre continuano a dormire

"Ho fatto un incubo" spiego mentre nella mia mente tornano le immagini di poco fa.

"Vuoi parlarne?" chiede mettendosi seduta e sbadigliando.

"Non è necessario, sto bene ora" la tranquillizzo.

"Sicura? Se vuoi vengo lì da te."

"Sicurissima, torna pure a dormire" le sorrido.

La ragazza dagli occhi color della notteDove le storie prendono vita. Scoprilo ora