CAPITOLO 3

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Questa mattina ho svolto nuovamente il compito di letteratura. La signora Wright è stata seduta alla cattedra a spiegare la lezione a miei compagni, ma con la coda dell’occhio mi ha osservata tutto il tempo, come se avessi potuto tentare la fuga da un momento all’altro, anche se a dire la verità non mi sarebbe dispiaciuta l’idea. La cosa positiva di tutta questa situazione è che ieri ho ripassato di nuovo tutto e oggi ero decisamente più preparata e sono piuttosto soddisfatta del tema che ho scritto.

Sto leggendo seduta sulla poltrona di velluto rosso posizionata davanti alla finestra della mia camera, anche se mentalmente sono da tutt’altra parte. I libri sono sempre stati il mio rifugio, come un palazzo fatto di mille avventure, storie d’amore, personaggi fantastici di cui innamorarmi e con cui piangere. Un posto sicuro dove rinchiudermi e poter essere me stessa; ed è così che quando ne apro uno, la mia mente dilaga in nuovi mondi, palazzi lussuosi, isole deserte, foreste infestate, regni lontani, e mi isolo nel mio piccolo mondo.

Sono rapita dalle pagine del mio romanzo, travolta dalle mille emozioni che mi suscita, quando tutta questa atmosfera crolla improvvisamente, interrotta dall’arrivo delle mie compagne in preda agli ormoni.

“Ma li avete visti quei ragazzi di quarto anno?”

“Sono degli dei greci!”

“Quello biondo mi ha guardata!” esclama una, sul punto di svenire per l’emozione.

Seriamente ho interrotto la mia lettura per questo? Le sto osservando come se fossero strane creature mitologiche e credo se ne accorgano perché Christine sposta il suo sguardo su di me sconcertata.

“Ma perchè stai piangendo come una disperata?” Non mi ero accorta che le lacrime scorrono sulle mie guance bagnandole completamente. In effetti devo sembrare proprio pazza.

“Stavo solo leggendo” ammetto asciugandomi il viso con la manica del vestito. Solo leggendo: che grande cretinata, ma tanto loro non capirebbero. Mi hanno sempre considerata quella strana, quella che si perde nei suoi pensieri, perché non capiscono che a volte è più semplice eclissarsi, scappare da tutto e da tutti, che affrontare la realtà.

Le ragazze ricominciano a parlare tra di loro e realizzo che non riuscirò mai a leggere qui, a meno che non voglia sapere i minimi dettagli sulla vita di ogni ragazzo che frequenta questo istituto, ma sinceramente non sento questo bisogno.

Mi alzo dalla poltrona sistemando la gonna ed esco silenziosamente dalla stanza. Dovrò trovare un posto più tranquillo dove andare; si dia il caso che questa cosa succeda come minimo una volta ogni giorno e quindi conosco a memoria ogni singolo angolo di questo posto. Mi reco nel piano più basso e vado in uno sgabuzzino contenente del materiale appartenente agli insegnanti, dove non va mai nessuno.

Mi siedo per terra, la schiena appoggiata contro il muro. Prendo libro e quando faccio per aprirlo mi rendo conto di una cosa: ho perso il segno. Infastidita comincio a scorrere le pagine illuminate dalla flebile luce filtrata dalla piccola finestra e in men che non si dica riprendo da dove mi ero fermata. Ovviamente questo stato di tranquillità dura poco e niente perché poco dopo, sento la porta aprirsi.

La maniglia si abbassa e a ogni secondo sento la presidenza più vicina, perché, in teoria, io non potrei stare qui. La porta si apre lentamente, mostrando una figura femminile, avvolta in un vestito beige, che stretto alla vita le ricade fino ai piedi, con i capelli castani raccolti. Mi ci vuole qualche secondo per metterla a fuoco, e mentre sto per avere un arresto cardiaco, sperando per un attimo di riuscire a mimetizzarmi con le mensole, mi rendo conto di chi ho davanti.

“Violet!” quasi urlo “Mi hai fatto prendere un colpo! Meno male che sei tu!” mi alzo in piedi per raggiungerla.

“Leila? Quante volte te lo devo dire che non puoi stare in questa parte dell’istituto?” dice portandosi una mano alla fronte.

La ragazza dagli occhi color della notteDove le storie prendono vita. Scoprilo ora