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Alle 16:00 esatte, la campanella che indicava la fine delle lezioni di quella giornata suonò; facendo precipitare fuori dall'istituto il biondo, salutando velocemente il suo compagno di banco che non fece molto caso al suo bizzarro comportamento. In risposta gli sbuffò un leggero «A domani Han».

Quel giorno era giovedì, il che significa che alle 18:00 sarebbe dovuto andare a prendere sua nipote al complesso dove frequentava il corso di danza.
Aveva esattamente due ore (mezz'ora delle quali passata sull'autobus che l'avrebbe riportato a casa), per cominciare a fare la lezione per il giorno dopo e magari risposarsi un poco prima di cominciare a studiare.

Andava ammesso: Han Jisung non aveva mai studiato molto nei suoi anni scolastici; e nemmeno a tre mesi dagli esami sembrava preoccuparsi molto... semplicemente non vomeva essere il peggiore della classe, ed imparava le poche nozioni che riteneva importanti per guadagnarsi una sufficienza.
«Hai un'intelligenza smisurata, Jisung » gli ripeteva sempre la sorella « perché limitarti al minimo indispensabile? Potresti avere un successo gigantesco a scuola ».
Era vero. Ma il ragazzo non voleva ammetterlo a se stesso.
Era sempre stato paragonato alla maggiore essendo stata, praticamente, la figlia perfetta. Non gli interessava essere la sua copia, ma nemmeno lo scemo del villaggio; così si ostinava ad imporsi di essere un ragazzo nella media qualunque.

La fermata del bus, quel giorno, era più affollata del solito; il che non suscitò un sentimento positivo in Jisung.
La sua unica fortuna era che la line che avrebbe dovuto prendere lui, era sempre desolata. Quasi desertica da quante poche persone la prendevano.
Con un po' di musica sparata nelle orecchie, attutì il frastuono delle chicchere di quegli studenti stanchi che desideravano solo tornare alle proprie case.

Un quarto d'ora dopo, la fermata si svuotò completamente, lasciandolo solo per altri cinque minuti ad attendere il suo mezzo che non tardò ad arrivare.
Salendo salutò gentilmente l'autista che oramai conosceva da cinque anni, e si sedette allo stesso posto. Il solito da quando aveva iniziato le superiori.
Jisung non aveva un vero e proprio disturbo ossessivo compulsivo (o almeno non aveva mai svolto i giusti esami per essere diagnosticato con tale problema), ma sicuramente aveva le sue piccole fissazioni.
Improvvisamente si ricordò di come, due anni prima, si alzò dal proprio posto per andare ad istruire la professoressa sul giusto rumore che dovrebbero fare i tacchi che battono per terra quando una persona cammina; il tutto perché non riusciva più ad ascoltare quella donna ticchettare le sue scarpe sulle mattonelle dell'aula in modo piuttosto disturbante alle orecchie.
O quando la mattina esce di casa con il cappotto,  ogni cosa debba stare nell'appropriata tasca: le chiavi di casa, gli auricolari ed un fazzoletto nella sinistra; il portafogli ed il cellulare nella destra.
Non era una questione di abitudine; proprio trovava insostenibili alcune cose, tanto da fargli accapponare la pelle e farlo sudare freddo per il fastidio.
Il posto sul bus era una di quelle cose.
Se un giorno avesse dovuto trovare qualcun altro seduto lì, probabilmente avrebbe cominciato a sentire il suo corpo prudere dal disturbo del momento.
Ma non era mai capitato in cinque anni, sicuramente non sarebbe capitato ora.

Dopo dieci minuti di viaggio e quattro canzoni della sua playlist preferita ascoltate, scese dal mezzo e raggiunse casa sua che si trova a pochi metri di distanza dalla fermata.
Sapeva sarebbe stato solo quelle due ore: la sorella sarebbe tornata tardi per una riunione,ed il marito di lei aveva preso un oretta di pausa dal suo lavoro per poter andare a prendere la figlia da scuola, passare un po' di tempo con lei  ed accompagnarla al corso di danza.

Dopo essersi levato le scarpe, ed averle posizioniate nell'apposita scarpiera all'entrata, andò immediatamente in camera sua per sdraiarsi due minuti sul letto e riposarsi dalla fatica scolastica.
Chiuse immediatamente gli occhi e, con ancora la divisa scolastica addosso, si addormentò senza nemmeno rendersene conto.

Han Jisung era solito fare le ore piccole la notte, e sonnecchiare in classe giusto per recuperare un po' del sonno perso; ma normalmente non si addormentava mai il pomeriggio. Se succedeva, solitamente era difficile si risvegliasse presto.

[ - - - ]

Il suono del campanello di casa lo risvegliò, inconsapevole di quanto fosse stato sdraiato sul suo comodo letto.
Corse ad aprire alla porta perché la persona sembrava parecchio impaziente, e sbiancò quando davanti ai suoi occhi si ritrovò Hyejin visibilmente arrabbiata con lo zio.
«Sono le 19:30 passate "zio Jisung"» disse lei imitando la voce del più grande « ho aspettato davanti alla porta per mezz'ora, e tu non ti sei presentato. Perché sei a casa? Stavi dormendo? ».
"Per essere una bambina di quattro anni, conosce un sacco di parole" pensò il biondo.
«Mi dispiace tanto, tesoro» si scusò veramente dispiaciuto lo zio « Si, stavo dormendo. Non me ne ero nemmeno accorto! Sono serio».
Accucciandosi davanti a lei, prese le manine nelle sue chiedendo perdono con quel piccolo gesto.
«Sto cercando di imparare ad essere uno zio responsabile, Hyejin. Ti prometto che migliorerò».

La bambina, evidentemente, quel giorno aveva meno voglia di arrabbiarsi con lo zio; così annuì chiedendogli ancora una volta di prometterle che non sarebbe più successo.
Sollevato, lo zio promise ciò che gli venne richiesto; più a se stesso che alla nipote.

«Cosa vuoi ti prepari per cena? » domandò Jisung « voglio farmi perdonare per bene. Oppure possiamo ordinare qualcosa se vuoi».
Hyejin sorrise accettando l'offerta di pace dello zio, chiedendo di ordinarle qualcosa dal ristorante tradizionale che si trovava nei paraggi, e che i due frequentavano spesso ultimamente.
E pochi minuti dopo, il cibo arrivò.

«Tesoro » il biondo chiamò improvvisamente l'attenzione dalla bambina «come sei arrivata a casa da sola?».
«Oh... Minho oppa mi ha porta. » rispose lei tranquillamente, masticando un boccone «era preoccupato. Voleva chiamati per dirti di venire, ma non conosco il tuo numero. Così mi ha accompagnato lui in macchia ».

Jisung si grattò la nuca imbarazzato: «La prossima volta mi ringrazierò a dovere con il tuo insegnate ».
«Marito! » lo corresse lei.
«Sempre il tuo insegnante è ».

"Minho. Minho... Non ho recentemente già sentito questo nome?" si chiese il ragazzo, alzando subito dopo le spalle a quegli inutili pensieri. "Chissà quanti Minho ci sono che ho sentito nominare".

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Breve capitolo descrittivo giusto per approfondire un poco il personaggio di Jisung <3
Spero la storia vi stia piacendo.
Bacetto a tutti!
- @drctCut

I bet you look good on the dance floor |Minsung|  Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora