𝐥𝐚 𝐠𝐮𝐞𝐫𝐫𝐚 𝐞' 𝐠𝐮𝐞𝐫𝐫𝐚

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Fu una settimana tranquilla quella: nessun attacco nemico, nessun ferito, nessun morto. Tenevo sotto controllo il bilancio delle vittime dei bombardamenti e degli agguati russi; vittime, i cui nomi venivano estesi delicatamente nero su bianco dalla mia penna sul taccuino di guerra, un piccolo quadernino tascabile, contenente le mie più inutili e celate paranoie. Trascorrevamo il tempo nella periferia di Kiev, aspettando l'ordine per rientrare in Italia. L'atmosfera si era calmata e sembrava che la Russia si fosse ritirata giusto in tempo prima di compiere un atto catastrofico per il pianeta intero, che avrebbe procurato un enorme guaio alla NATO, all'UE e a tutte le potenze mondiali. Il team cenava e pranzava insieme ogni giorno, mentre io me ne stavo in disparte. Le mie regole si erano ormai sgretolate insieme alla paura di morire in guerra; avevamo abbassato la guardia e alzato i bicchieri al cielo, fiduciosi di un'immediata rinascita per il popolo ucraino che, fino a quel momento, aveva dimostrato di poter tenere testa all'invasione nemica. Eravamo sollevati, leggeri e già pronti per tornare in patria, con la speranza di non rivederci più, se non in future situazioni informali e sicuramente più piacevoli di quella insensata guerra di conquista. I rifugi si stavano svuotando e quelle rumorose e ripetitive sirene stavano pian piano lasciando spazio al silenzio tombale della pace. Sembrava tutto finito. Sembrava.

"Layla vieni a mangiare con noi." Cercò di coinvolgermi Jungkook.

Me ne stavo seduta fuori dalla tenda militare, mentre dentro di me sentivo odore di cattiva sorte. Avevo il presentimento che non fosse tutto terminato lì. Il governo autarchico che proclamava e esortava con incoerenza la democrazia voleva di più. Non bastava aver ucciso bambini con occhi innocenti, anziani saggi o cittadini valorosi. La guerra è guerra. La guerra è cieca. E mentre noi combattevano per la patria, mentre rischiavamo la vita ogni minimo secondo che inesorabilmente trascorreva, in Senato si discuteva di merendine. La rabbia più profonda, tuttavia, proveniva da quell'ulteriore sentimento di impotenza. Guardavo di fronte a me il vuoto paesaggio non del tutto distrutto dai missili. Contavo ripetutamente le dita delle mani, come mio solito fare quando sentivo qualcosa che non andava.

"Layla..."

"Come fate a mangiare in un momento del genere?"

"Beh, qualcosa dovrai pur mettere sotto i denti, altrimenti come tornerai in Italia?"

"Beati voi che avete ancora speranza che torneremo a casa sani e salvi." Dissi alzandomi e penetrando con gli occhi nello sguardo di Jungkook. "Dì agli altri di prepararsi." Continuai dirigendomi dentro.

"Ma di cosa stai parl-"

Boom..
Boom...
Boom...

Tre improvvise e consecutive esplosioni ci riportarono alla cruda realtà e demolirono le nostre più alte e speranzose aspettative. Un boato di grida si accese nella pace cittadina e noi accorremmo immediatamente alle armi. Salimmo repentinamente sul carro armato e ci dirigemmo insieme, come una finta vera squadra, verso il centro di Kiev. Durante il tragitto, i sette coreani parlavano tra loro circa strategie basate su un' insensata, ma apparentemente scenica fiducia reciproca. Noi ascoltavamo esterrefatti, badando e preoccupandoci solamente di noi stessi e delle persone che avevamo lasciato dall'altra parte dell'Europa. Dovevamo per forza tornare indietro.
La mia mente mi riportò indietro nel tempo a qualche anno prima, due per l'esattezza. La guerra in Afganistan era all'apice della sanguinosità e le esplosioni erano pane quotidiano per gli abitanti del Paese asiatico. Ci avevano catturati e uccisi, anche lui aveva mollato dopo essere stato lasciato in una cella, sprovvisto di cibo e acqua. Non riuscii a salvarlo. Fece male, tanto male. Mi ripromisi che avrei salvato vite su vite per renderlo eterno, eppure la ferita sul cuore continuava a bruciare, come se ogni giorno, ogni notte, qualcuno la medicasse con acqua ossigenata; fastidiosa si, ma anche curativa.

"Andiamo." Dissi aprendo gli enormi sportelli del veicolo verdaccio.

Ma quando scendemmo, ci ritrovammo di fronte uno scenario inimmaginabile. Tutto era distrutto. Fumogeni ostacolavano la respirazione, incendi sparsi di qua e di là, polveri che impedivano la visuale. Per un attimo, solo per un millesimo di secondo, sentii un brivido di freddo. Non fu paura, fu compassione.

Non possiamo fare più nulla.  Pensai.

"Forza, vediamo se c'è qualcuno sotto le macerie." Intervenne Jimin.

Gli altri obbedirono. Io inizia a perlustrare la zona est, insieme a Taehyung, Hoseok e Jin, mentre a ovest guidava la schiera Jimin, capitano dell'Alfa Team.

~~

"Si può sapere che problemi ha il vostro capitano?" Chiese Yoongi a Mike e Hanna.

Loro si scambiarono uno sguardo insicuro e sottomesso.

"Ehm... è un po' particolare come soggetto." Rispose il ragazzo.

"Se non sa comportarsi come un soldato, può anche andarsene. Non abbiamo bisogno di un muso lungo." Aggiunse Jungkook.

"Non era così qualche tempo fa." Disse Hanna.

"Shh, fate silenzio un attimo..." Esclamò Jimin, portandosi un dito sulle labbra in segno di smettere di parlare. "...sentite anche voi questo rumore?"

Un ticchettio ritmico e ben scandito suonava ripetutamente senza mai smettere. Sembrava un timer sull'orlo dello scadere.

Tic...
Tac...
Tic...
Tac...

Continuava così, senza sosta, senza riposo.

Sembra...

....una bomba.

𝐋𝐚 𝐝𝐢𝐟𝐟𝐞𝐫𝐞𝐧𝐳𝐚 𝐭𝐫𝐚 𝐦𝐞 𝐞 𝐭𝐞 |𝐏𝐚𝐫𝐤 𝐉𝐢𝐦𝐢𝐧|Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora