𝐮𝐧 𝐟𝐚𝐯𝐨𝐫𝐞 𝐝𝐚 𝐫𝐢𝐜𝐚𝐦𝐛𝐢𝐚𝐫𝐞

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Passarono mesi da quell'incidente di percorso. Molte cose erano cambiate, troppe a dire la verità. Layla aveva deciso di lasciare l'esercito, le stellette sulla spalla, i gradi e la guerra. Aveva imparato una lezione fondamentale dopo che quel proiettile le aveva quasi perforato il cuore: la vita è sacra. Perciò, si era trasferita a New York e aveva incominciato a lavorare nell'ospedale della Grande Mela, uno dei migliori in campo medico e biomedico. Se avesse potuto, avrebbe dimenticato tutto.
Se solo avesse potuto...
Non riusciva a non pensare a coloro che in Ucraina continuavano ad imbracciare mitra e ad indossare elmetti mimetici. A quei ragazzi che aveva lasciato lì, dall'altra parte del mondo. Specialmente a lui. Non lo aveva dimenticato. Per quanto volesse farlo, per quanto avesse voluto cancellarlo dalla sua testa e dai suoi ricordi, lei non poteva, non ci riusciva. Era come se dentro di lei fosse scattato qualcosa che paragonasse Jimin alla figura di Nathan. Era come se Nathan vivesse in Jimin. Ma lei non lo amava, lei non amava l'asiatico. Sapeva, però, che lui aveva fatto tanto per lei. Così, a volte, quando le era possibile, saliva sul tetto dell'enorme edificio e guardava ammagliata le luci della città. Alzava gli occhi al cielo e si domandava se fosse ancora vivo, almeno lui, e se un giorno l'avrebbe rivisto. E poteva solo sperare perché ciò accadesse.
Eppure, nonostante la sua incolumità, le giornate newyorkesi trascorrevano monotone e noiose. Sempre le stesse operazioni di routine, sempre i soliti volti, sempre i soliti colleghi. Lì non esisteva ciò che lei cercava: quell'adrenalina, quella tensione, quella paura o quella gioia improvvisa.
Perché in fondo è vero, la felicità, se assaporata tutti i giorni, perde il suo sapore. E pian piano non ti rendi più conto di essere felice. In guerra era diverso, invece. Ogni giorno si era sottoposti all'ansia, al terrore e alla depressione; perciò, un attimo di sorriso veniva apprezzato più di un filo d'aria in estate.
Layla era di nuovo lì, ma questa volta non guardava le luci di New York, bensì il cielo. Scorgeva le stelle più luminose sul tappeto blu sulla sua testa e le contava mentre prendeva aria dal naso e la rigettava dalla bocca. Le sue gote erano arrossate a causa del freddo, nonostante fosse primavera. Aveva come il presentimento che qualcosa, di lì a poco, sarebbe accaduto. Qualcosa di speciale, qualcosa di mistico.

"Layla!"

La ragazza si girò di scatto in direzione della voce.

"Ti stiamo cercando da mezz'ora! Sta arrivando un elicottero con dentro un militare ferito gravemente. Non sappiamo molto, ma lo Stato ci ha detto di curarlo nel migliore dei modi."

Lei si raccolse immediatamente i capelli in una folta coda di cavallo disordinata e raggiunse il collega.

"Sarà un pezzo grosso dell'esercito." Disse ad Andrew mentre si intrufolavano velocemente nell'ascensore.

"Probabile." Rispose lui.

"Sai che missioni ha fatto?"

"Ho sentito dire che lo stavano curando a Roma dopo essere stato ferito a Mariupol, in Ucraina."

Lei raddrizzò le orecchie. Ucraina.

"Non è stato troppo rischioso portarlo qui? Tutte queste ore di volo? Come reagirà il suo organismo?!" Si lamentò lei.

"Ah Layla, ma cosa ne sai tu della guerra! I militari sono privilegiati dallo Stato, qualunque esso sia e chiunque essi siano. Mi sembra scontato che lo stiano portando da noi. Siamo i migliori in questo campo!" Affermò Andrew facendo l'occhiolino. "E poi, hanno chiesto loro di essere portatati qui."

Layla rimase in silenzio, rimuginando sulle sue parole.
Un attimo di silenzio gelido riempì lo spazioso ascensore, poi uscirono del tutto per raggiungere la pista d'atterraggio in cima al grande ospedale.

"Eccolo!" Disse Andrew con una voce quasi oscurata dal rumore dell'elica.

Ci avvicinammo e immediatamente i soccorsi aprirono il veicolo per far uscire il ferito, ma al posto dei soliti paramedici, uscì fuori con la barella un ragazzo in divisa mimetica che incominciò a fornirci tutti i dati di cui eravamo stati all'oscuro fino ad allora. Un ragazzo che io, Layla, conoscevo bene, alla perfezione a dire il vero, e che avevo giurato che non avrei più rivisto.

Noi iniziammo a seguirlo. Io lo osservavo da dietro. Confusa, ma attenta alla sua spiegazione e alla sua vita insanguinata.

"Kim Taehyung, 27 anni, ha subito due settimane fa un intervento per salvare l'arto inferiore destro senza risultati ottimali. Soffre di tachicardia ed è allergico all'allopurinolo. Layla lo affido a te!"

"Jimin..."

Andrew ci guardava sbalordito. Non capiva come fosse possibile che ci conoscessimo. E a dire il vero, non riuscivo nemmeno io a concepire il fatto che di fronte a me ci fosse lui, ancora una volta. Jimin era sempre stato un passo davanti a me, su tutto. E anche quella volta, in cui per salvare il suo migliore amico, lasciò il dovere per l'umanità. Ecco, si, Jimin era umano.
Il ragazzo rimase in silenzio e mi fissò per qualche secondo. Era come se mi stesse pregando di salvarlo.

"Ci penso io." Afferrai la barella e iniziai a dirigermi all'interno dell'ospedale senza aspettare altro tempo, lasciando indietro il ragazzo che continuava a seguirmi con lo sguardo, fermo, immobile, pietrificato. Sentivo il cuore battere forte e non capivo se fosse per un intervento diverso dagli altri o per aver rivisto quei due. Sapevo solo che dovevo occuparmi di Taehyung e ricambiare a tutti i costi quel favore.

𝐋𝐚 𝐝𝐢𝐟𝐟𝐞𝐫𝐞𝐧𝐳𝐚 𝐭𝐫𝐚 𝐦𝐞 𝐞 𝐭𝐞 |𝐏𝐚𝐫𝐤 𝐉𝐢𝐦𝐢𝐧|Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora