𝐮𝐧𝐚 𝐯𝐢𝐭𝐚 𝐝'𝐨𝐫𝐨

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⚠️ Sono presenti immagini che potrebbero urtare la vostra sensibilità. Le immagini sono degli edit e non hanno nulla a che fare con la vita reale degli idol. (Menomale, direi). Non sono di mia creazione, bensì prese da internet. Buona lettura!

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Afghanistan.
29 maggio.
Sembrava tutto tranquillo per le strade di Kabul.
Eppure sull'arido suolo giacevano senza vita migliaia di persone.
Tra cui, molti dei nostri.
Ma la mia squadra, ringraziando il cielo, era tutta intatta.
Tutti vivi.
Almeno per il momento.

"Perlustriamo la zona e poi andiamo nell'accampamento, ok?" Disse Jimin, rivolgendosi a noi.

Nel suo sguardo riuscivamo a sentire la rabbia e l'impotenza. Nello sguardo di Jimin c'era quella voglia matta di prendere un mitra e sparare a tutti. Per suo fratello. Quel fratello che era morto in quella terra. E per quella gente. Per renderli liberi da quella schiavitù.
I talebani ce l'avevano fatta di nuovo. Avevano raso al suolo un piccolo quartiere della capitale e noi, eravamo lì, sotto quel polverone di gas, sabbia e nuvole. Ed io lo cercavo. Cercavo quegli occhi color nocciola, quelli da assassino, quelli di cui conoscevo solamente il ricordo tenebroso e vendicativo. Io cercavo colui che aveva ucciso Nathan.

"Qui è tutto libero Jimin!" Urlò Jungkook dopo aver fatto un giro dell'isolato. "Se ne sono andati, credo." Continuò.

"Bene, allora ritorniamo alla base." Intervenne Yoongi.

Stavamo rientrando nel fuoristrada, quando la terra incominciò a tremare. Forte. Esageratamente forte. Era già tutto distrutto e quello che rimaneva da distruggere cadde improvvisamente al suolo. Come pioggia. Come neve. Come foglie d'autunno. Grida di aiuto si udivano in lontananza, ma noi rimanemmo fermi. Non capivamo cosa stesse accadendo. Non stavamo capendo un bel niente.

"Cos'è? Un terremoto?" Urlò Hannah guardandomi spaventata.

Ma io non risposi. Avevo gli occhi immobili su Jungkook. Lui mi fissava. Diritto negli occhi, terrorizzato dal suo destino, tenendosi stretto il petto e con la mano che si macchiava di sangue. Poi cadde a terra e dalla sua bocca sgorgava il rosso liquido vitale.

"Jungkook!" Corsi da lui e mi inginocchiai al suo fianco, sollevandogli il busto per posarlo sulle mie gambe. "Jungkook rispondi!"

"Layla sposati da lì!" Urlò Taehyung che immediatamente posizionò il 300 Winchester Magnum e iniziò a sparare per coprirmi le spalle.

"Aiutatemi." Dissi agli altri per sollevare il ragazzo che, ormai, non rispondeva a nessun comando.

Hoseok e Jin si fecero avanti di corsa, presero il Maknae e lo misero nel fuoristrada.

"Andate voi e fatelo operare d'urgenza all'ospedale militare!" Urlò Jimin guardandomi. "Qui ci pensiamo noi."

"Fa' attenzione." Gli dissi voltandomi verso di lui.

"Non preoccuparti."

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Jungkook era in sala operatoria ormai da ore e i medici non ne volevano sapere di darci qualche informazione

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Jungkook era in sala operatoria ormai da ore e i medici non ne volevano sapere di darci qualche informazione. Entravano ed uscivano senza sosta, correvano da una parte all'altra e sul viso portavano espressioni corrucciate. Ed io ero lì, nel primo ospedale militare che avevamo trovato, ad aspettare di rivedere quel coniglietto simpatico e coraggioso, sperando e pregando in tutte le lingue possibili che si salvasse. Eppure più passava il tempo, più mi sembrava che Jungkook, in realtà, fosse sempre più lontano. Lontano da me, dai suoi amici e dalla sua famiglia. Lontano da quella vita che lo aveva ingabbiato e che gli aveva impedito di volare. E me ne resi conto solo quando capii che l'ospedale aveva finito le riserve di sangue.

"Posso donarlo io..." Mi intromisi, origliando due infermieri americani. "Sono gruppo 0." Continuai.

L'infermiera non aspettò un solo minuto, mi prelevò il sangue e lo portò dentro, mentre io continuavo ad essere collegata da piccoli tubicini ad un'ennesima sacca di sangue da riempire, fino a quando non mi addormentai sulla sedia della sala d'attesa, senza forze. Quello fu il primo attimo di tranquillità che ebbi durante la mia permanenza a Kabul. Sentii la testa farsi pesante e appoggiarsi ad un caldo cuscino umano. Una mano mi accarezzò i capelli e un'altra mi coprì il corpo con una giacca. Socchiusi gli occhi e vidi Jimin, che con il capo poggiato al muro, tentava anch'egli di riposare e di assaporare quell'insolita quiete.

"Sei tornato?" Sussurrai.

Lui annuì con la testa.

"Come stanno gli altri?" Chiesi.

"Hanno riportato qualche ferita, ma stanno tutti bene. Adesso si stanno facendo curare."

"Che sollievo."

Osservai la sala aperta e rimasi confusa.

"Hanno terminato? Quanto ho dormito?"

"Hanno finito due orette fa."

"E perché non mi hai svegliata?"

"Non volevo disturbarti. Dormivi così bene."

"Come sta Jungkook?"

Ma Jimin a quella domanda non rispose. Forse non riusciva nemmeno a capacitarsene. Pensava che sarebbe stato tutto come sempre, eppure...
Non sapeva come iniziare il discorso, non sapeva come dirglielo, come farglielo capire senza che iniziasse a fare giri di parole. Perché lui non avrebbe mai pronunciato quella frase. Non avrebbe mai detto quelle parole. Perché pensava che se non le avesse dette, allora quello che era accaduto quel giorno non sarebbe mai diventato realtà, non sarebbe mai diventato parte della sua vita e del suo dolore.

"Jimin, come sta Jungkook?" Ripetette seria Layla.

Il ragazzo rimase in silenzio, mentre fissava il vuoto.

"Jimin ti prego..." Gli occhi della ragazza si fecero lucidi e, senza alcun scrupolo, le lacrime incominciarono a rigarle il viso.

Jimin la strinse più forte, e non per consolarla, nemmeno per farla smettere di piangere, ma per condividere il dolore. Quel dannato dolore dell'aver perso un altro fratello, non di sangue, ma di cuore. La abbracciò forte per la rabbia, per la tristezza, per la difficoltà dell'essere un uomo. Dell'essere un soldato. Forte e fragile allo stesso tempo. Coraggioso e vigliacco.
Ma Jungkook era tutto tranne che vigliacco o codardo. Questo è certo! Era sempre pronto ad aiutare gli altri, a mettere i propri amici prima di se stesso e prima della sua stessa vita. Jungkook era un supereroe senza mantello. Per tutti. Per grandi e piccini. Per colleghi e per superiori. Un esempio da seguire per le nuove generazioni.

Jungkook era tutto ciò che si potesse definire unico.
E lo sarebbe stato per sempre.
Nato d'oro, morto con un cuore viola.
Il Purple Heart per i caduti della guerra.

Nato d'oro, morto con le stelle d'oro.
La sua vita fu dorata.
E speriamo anche quella dopo.

Perché Jungkook morì quel dannato 29 luglio.

𝐋𝐚 𝐝𝐢𝐟𝐟𝐞𝐫𝐞𝐧𝐳𝐚 𝐭𝐫𝐚 𝐦𝐞 𝐞 𝐭𝐞 |𝐏𝐚𝐫𝐤 𝐉𝐢𝐦𝐢𝐧|Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora