𝐬𝐨𝐧𝐨 𝐞𝐠𝐨𝐢𝐬𝐭𝐚

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"Quindi, parti o no?" Mi chiese con ancora più insistenza il colonnello per ricevere una mia risposta.

Ma dall'altra parte della cornetta, dalla mia parte, si era venuto a creare un enorme conflitto interiore che era sull'orlo di esplodere. Sanguinoso e letale. Crudele e fragile.

"Io..." Accennai.

L'uomo attendeva una mia parola, un monosillabo, una semplicissima conferma. Non era difficile. Si o no. Ma io, io ero in stand by. Pensavo a Jungkook, il piccolo del gruppo, che poi, tanto piccolo non era: aveva gli occhi da grande, cresciuto troppo in fretta, per colpa della guerra. Pensavo a Giada e a quello che le avevo fatto passare, mille guai per il mio caratteraccio. Pensavo a Namjoon, che offesi per il suo modo di rompere sempre tutto, anche le armi più costose, nonostante fosse sempre corso in mio aiuto. Pensavo a Yoongi e a tutte quelle volte che lo rimproverai mentre dormiva, anche solo per dimenticare le paure: perché solo dopo mi resi conto che era quello il suo modo per scaricare la tensione. Pensavo a Taehyung e al nostro primo scontro. Pensavo a Jin e alle sue battutacce squallide e fuori luogo, ma che in fondo, servivano solo per alleggerire gli animi, insieme ai solari sorrisi di Hoseok, il quale non la smetteva mai di parlare, nemmeno quando era necessario farlo. E pensavo alla mia squadra, a quanto avesse potuto odiarmi in quei mesi, a quanto avesse voluto cacciarmi e farmi fuori insieme ai russi, magari sotto ad una bomba o con un fucile da cecchino. Perché ero stata un robot nei loro confronti. Senza cuore e senza sentimenti. Volevo solo vendicarmi per Nathan. Ma volevo vendicarmi contro le persone sbagliate. Pensavo a quanto li avessi trattati bruscamente. E poi pensavo a Jimin, come se fosse stato lui il motivo del mio cambiamento. Perché io ero cambiata e stavo continuando a cambiare. Non capivo in che modo e perché, ma mi sentivo più vicina agli altri e alla vera me, quella di qualche anno prima, quando la guerra non mi spaventava, quando mi bastava avere le persone che amavo accanto a me. Come Mike. E se solo me ne fossi resa conto prima, gli avrei detto che lui, si, proprio Mike, era una parte fondamentale della mia vita. Ne avevamo passate tante insieme, in Afghanistan, in Iraq e anche in Ucraina. E fu proprio questo il luogo in cui lo vidi respirare per un'ultima volta quell'aria inquinata dalle imprecazioni blasfeme della violenza.

Volevo tornare da loro. Ma La guerra mi aveva stancata. Eppure...

"Si, parto." Questo uscì dalla mia bocca.

Sapevo che non stavo partendo per me, né per salvare il mondo, ma per puro egoismo. Un egoismo smisurato che mi portavo dietro dalla morte del mio ragazzo, quello stesso egoismo che mi urlava silenziosamente di vendicarlo. Perché io ricordavo esattamente il volto di chi lo uccise quel giorno, quando lui si reggeva a stento in piedi per la fame e per la sete, per le ferite infette e per le catene ai polsi. Io ricordavo ogni minimo dettaglio di quell'uomo schifoso: occhi scuri, quasi neri, una barba medio lunga e una tunica nera. Urlava che io ero donna e non potevo combattere, né ucciderlo, perché ero debole, sono debole. Gli tenevo puntato il mirino sulla giugulare, per una morte istantanea e dolorosa, ma non ebbi il coraggio di premere quel grilletto. Sarebbe stata la mia prima vittima. Nathan urlava di non sparargli, perché noi, al contrario degli altri, ci difendevamo solamente e non avevamo il compito di uccidere. Ma sbagliai tutto. Avrei dovuto ammazzarlo con tutta la rabbia che avevo dentro. Con tutta quella rabbia repressa.

~~

"Taehyung, l'aereo militare sta arrivando. Sbrigati!" Jimin esortò l'amico a darsi una mossa, mentre si sistemava la divisa.

"Layla non è venuta salutarci." Rispose lui rattristato.

"Starà operando." Dedusse il biondo.

Eppure, il fatto che la ragazza non si fosse nemmeno interessata alla loro partenza, un po', lo aveva ferito. Ma Jimin questo non lo diede a vedere. Sapeva che lei aveva la sua vita a New York e lui avrebbe dovuto farsene una ragione. Gli dispiaceva solamente che vivessero così lontani, agli antipodi del pianeta, perché lei era una buona amica e lui lo era altrettanto per lei.

E proprio mentre stavano per salire sul mezzo volante, una voce bloccò i due sudcoreani, lasciandoli di stucco.

"Hey, voi due!"

Layla, in divisa , anfibi e cappello da baseball, si presentò dietro di loro con un sorriso a trentadue denti.

"Che c'è? Pensavate di esservi liberati di me?"

"Ma tu avevi detto..." Cominciò Jimin sorpreso, mentre sul volto di Taehyung nasceva un'espressione più che felice.

"So quello che ho detto, ma ho ancora un'ultima cosa da compiere e solo in Afghanistan la posso fare." Disse lei, superando i due ragazzi e mettendosi comoda su uno dei sedili. Loro la seguirono nei movimenti. Contenti si, ma con un brutto presentimento nell'animo. Soprattutto lui. La sentiva diversa, più donna, più decisa. Ed era proprio questa sua determinazione la cosa che lo spaventava maggiormente.

E se avesse avuto in mente qualcosa?
Qualcosa di pericoloso?
Qualcosa in cui io non l'avrei potuta aiutare?
E se c'entrasse con la storia di Nathan?

Jimin si tartassava di domande. Quella ragazza aveva qualcosa di strano nel cuore. Tanta rabbia, tanto rancore. Ed era normale dato quello che aveva vissuto. Ma quando quel sentimento negativo diventa un qualcosa di indomabile, non si è più padroni del proprio corpo, ma succubi. Vittime del proprio passato. E questo Jimin lo sapeva meglio di chiunque altro, perché lui stesso era stato il primo ad aver provato quelle sue medesime emozioni. Lui la capiva. La capiva alla perfezione. Era l'unico che poteva farlo. E sapeva bene che avrebbe dovuto tenerla d'occhio e, soprattutto, aiutarla.

Perché per Layla, Nathan era ancora vivo.

𝐋𝐚 𝐝𝐢𝐟𝐟𝐞𝐫𝐞𝐧𝐳𝐚 𝐭𝐫𝐚 𝐦𝐞 𝐞 𝐭𝐞 |𝐏𝐚𝐫𝐤 𝐉𝐢𝐦𝐢𝐧|Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora