𝐚𝐬𝐬𝐚𝐬𝐬𝐢𝐧𝐢 𝐨 𝐚𝐬𝐬𝐚𝐬𝐬𝐢𝐧𝐚𝐭𝐢?

28 5 0
                                    

"Quindi, ora, siamo amici?"

Sorrisi ironicamente.

"Ci tieni così tanto?"

Jimin non rispose. Ricambiò il sorriso, fece spallucce e poi andò da Jungkook.

Su Kiev scese la notte, ma noi eravamo tutti svegli, con gli occhi spalancati, pronti a tutto pur di sopravvivere un giorno più, un'ora in più. Quella guerra iniziava a fare paura, a incutere terrore in chi aveva un pezzo di cuore dall'altra parte del mondo. Hanna al polso teneva un bracciale, non costosissimo, ma per lei aveva un valore inestimabile. Sua madre glielo aveva regalato il giorno della sua laurea in lingue; ma lei voleva fare il soldato e servire la patria. Decise, quindi, di indossare la divisa e di scendere in battaglia. Ogni notte prega Dio per rivedere suo fratello minore, diversamente abile, con il quale condivideva la passione per i puzzle. Ecco perché sul polso sinistro ha tatuato un pezzo di puzzle da incastonare, per ricordare che sarà sempre legata ad un'anima lontana. Queste cose per me erano scontate fino ad allora. Non mi era mai interessato conoscere cosa ci fosse dietro quei giubbotti mimetici, forse perché avevo paura di affezionarmi, forse per non ripetere gli stessi errori. Ascoltavo semplicemente quelle storie, mentre ero distesa sul suolo, contando le stelle.

"E tu Layla?"

"Cosa?" Chiesi.

"Raccontaci un po' di te." Disse Hoseok.

"Non credo ci sia molto da dire." Dissi sollevando la schiena e facendo spallucce.

Un venticello fresco si infilò tra i miei capelli lunghi e il mio sguardo si fece basso.

Era passato un mese ormai dall'inizio della guerra in Ucraina e di me conoscevano solamente il nome. Erano diventati tutti amici, tutti ottimi colleghi e spalle su cui piangere, ma io no, io non volevo cedere. Quella notte, però, come a volte mi capitava, i mostri del passato tornarono indietro a prelevare la mia quiete e nella sonnolenza collettiva un gemito di dolore si fece spazio tra le funeste arie silenziose delle tenebre. Mi svegliai di soprassalto e gridai il suo nome, per poi tapparmi la bocca, mordendomi le dita della mano più forte che potevo. Dovevo fare silenzio. Mi alzai e mi allontanai per non disturbare gli altri e per non farmi vedere in quello stato, distrutta ancora una volta dal senso di colpa.
Improvvisamente, una mano mi stese una bottiglia d'acqua fresca.

"Quindi si chiamava Nathan..."

Mi girai di spalle a lui.

"La smetti di pedinarmi? Lasciami in pace Jimin!"

Lui si sedette, mentre guardava la città distrutta davanti a noi.

"So cosa si prova a perdere qualcuno in questo modo."

Attirò la mia attenzione.

"Cosa intendi dire?"

"I tuoi amici me lo hanno raccontato... L'unico modo per uscirne è parlarne."

"Puoi pensare ai fatti tuoi una buona volta?"

"Ho perso mio fratello maggiore in una missione in Afghanistan. L'ho visto morire sotto i miei occhi, mentre i talebani lo sgozzavano come un maiale al macello. E invece lui era un uomo, non un maiale." Ci fu una pausa silenziosa. "Sai qual è il brutto della guerra Layla?"

"Qual è?"

"È che noi, nel momento in cui ci mettiamo addosso queste divise, non siamo più uomini, ma carne da macello."

Lentamente mi sedetti accanto a lui. Eravamo nuovamente lì, a parlare di noi pur sapendo che, probabilmente, saremmo morti in qualche ora, in qualche giorno o in qualche mese. Insicura tirai fuori dal taschino in alto a sinistra quella vecchia fotografia. Era piccolina e poco curata, ma era la ragione per cui mi alzavo ogni mattina.

"Era il mio fidanzato." Dissi con un filo di voce, non riuscendo a continuare. Gli occhi si riempirono di acqua salata, che faceva fatica a non sgorgare sulle gote.

"Torna spesso, non è vero?"

"Sempre, a dir la verità. Torna sempre quando penso di averlo superato."

Lui accennò un sorriso.

"Perché hai deciso di raccontarmi una cosa così personale? Intendo la storia di tuo fratello..." Dissi timida.

"Così che il tuo dolore non si senta più solo."

"Vorrei che il mio dolore scomparisse."

Perché, in fondo, è così: la guerra è un macellaio pazzo che uccide bestie. E noi siamo le bestie che muovono quel macellaio, ma siamo anche quel macellaio che uccide i vitelli.
Quindi chi siamo noi?
Gli eroi o le vittime?
Chi siamo noi?
Assassini o gli assassinati?
Sarebbe bello poter dare solo una definizione, ma la verità è che siamo ognuna di queste cose. Siamo gli eroi perché combattiamo per la pace, ma per portare la pace facciamo la guerra. Siamo le vittime perché moriamo insieme ogni giorno. Siamo assassini perché uccidiamo le vittime, e siamo assassinati dagli assassini delle vittime. È il cerchio della vita di cui parla Mufasa a Simba, è la catena alimentare della geopolitica, è scala sociale della popolazione. Siamo noi che determiniamo chi siamo, ma in guerra siamo solo un numero.

Quattro morti uccisi da un bombardamento a Mariupol.

Quattro morti.
Chi sono?
Come si chiamano?
Quanti anni hanno?
Non importano queste cose.
Erano carne da macello per una guerra di invasione. Non verranno ricordati come eroi, solo come povera gente innocente che è morta precocemente per mano di iene ignoranti che, se avessero studiato un po' più la storia, adesso, starebbero elogiando i principi della libertà, dell'uguaglianza e della vita.

𝐋𝐚 𝐝𝐢𝐟𝐟𝐞𝐫𝐞𝐧𝐳𝐚 𝐭𝐫𝐚 𝐦𝐞 𝐞 𝐭𝐞 |𝐏𝐚𝐫𝐤 𝐉𝐢𝐦𝐢𝐧|Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora