𝐫𝐢𝐯𝐞𝐥𝐚𝐳𝐢𝐨𝐧𝐢

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Osservavo gli enormi grattacieli della capitale coreana scorrere veloci lungo il finestrino, alternando la vista sulla strada. Le luci della città notturna illuminavano il suo viso dormiente. Finalmente ero a casa, con lei. Pensando a ciò che avevamo vissuto in quei mesi, sorrisi. Poi parcheggiai e le diedi un bacio sulla fronte.

"Siamo arrivati."

Layla socchiuse gli occhi.

"Mh, prendo i bagagli."

"Ci penso io, tu vai a riposarti."

"Dovresti essere tu quello che si dovrebbe riposare." Mi disse.

Io sorrisi. Era così bella struccata. Così pura. La aiutai a prendere le sue cose dal bagagliaio, anche se facevo ancora difficoltà a muovermi. Entrammo in casa e lei subito incominciò a guardarsi attorno incuriosita.

"Cosa vuoi mangiare stasera?" La distrassi dal suo home tour.

"Cosa mi consigli?" Mi rispose.

"Vediamo, forse bulgogi o teokkbokki. Dipende da cosa vuoi, ci sono tante cose da provare."

E lei indecisa si buttò a peso morto sul divano, mentre osservava il soffitto e pensava a cosa poter assaggiare quella sera, la sua prima sera a Seoul, in Corea, con quel ragazzo di cui sapeva davvero molto poco, solo una piccola parte del suo passato.

"Che ne dici se chiamiamo gli altri e andiamo a cena fuori? Ovviamente se te la senti."

Io la guardai sorridendo, felice di sentire quelle parole e impaziente di poter rivedere tutti e di riabbracciarli.

~~

"Hey ragazzi! Siamo qui!" Sventolò Taehyung il braccio in alto verso di noi.

Sembrava tutto come sempre: una semplice cena tra commilitoni al termine di una delle tante pericolose missioni. Alcuni con qualche taglio in più sul volto, altri con ferite aperte nel cuore. C'era chi beveva, chi mangiava e chi se ne stava in silenzio senza pronunciare una sola parola, proprio come Jin e Namjoon, che si guardavano negli occhi e comunicavano in questo modo, perché le loro parole non erano adatte alla divisa mimetica e ai gradi sulle spalle. In una società selettiva e rigida come quella coreana, essere gay significava vergogna non solo per se stessi, bensì per tutta la famiglia.

E poi c'era chi aveva troppe cose da dire e le disse tutte insieme.

"E se smettessimo di fare questa vita? Io voglio creare musica." Disse Suga, così lo chiamavano i suoi amici, rompendo quell'atmosfera di pace.

Tutti rimasero in silenzio. Sembrava che la temperatura fosse scesa improvvisamente a zero gradi.

"Cosa stai dicendo?" Chiese Jimin serio.

Eppure tutti sembravano avere il capo chinato verso il basso, come se avessero già preso una decisione senza di lui.

"Si, Jimin, in realtà, stavamo pensando di richiedere il congedo. Tutte quelle cose che sono accadute in questi mesi ci hanno fatto riflettere molto e siamo giunti a questa decisione." Intervenne Namjoon.

"Il congedo?! Mi state prendendo in giro? Volete davvero smettere? Perché dirmelo solo ora? Eravamo così fieri del nostro lavoro! Taehyung, cosa mi dici di tutte quelle vite salvate? E tu Hoseok, cosa mi dici dei sorrisi della povera gente? E i giorni di addestramento? Le notti passate a fare le sentinelle? Abbiamo vissuto così tante cose insieme, perché lasciare ora?"

Jimin continuava a parlare e a porre domande, ma non aveva notato che sui visi di ognuno scorrevano lacrime di tristezza e di rassegnazione.

"Perché non c'è Jungkook!" Urlò Taehyung. "Noi siamo sette. Siamo nati sette. E moriremo sette."

Il biondo si irrigidì. Guardò uno per uno, poi prese le sue cose e se ne andò.

"Andiamo Layla." Disse senza guardarsi indietro. Capiva i suoi amici, ma non riusciva a concepire una vita senza di loro, senza la saggezza di Namjoon, senza le battute squallide di Jin, senza i complimenti di Yoongi, senza il sorriso di Hoseok e senza l'amicizia di Tae e Jk.

"Tu non ami il tuo lavoro, tu odi il fatto di doverti separare da loro." Disse Layla mentre camminavano per le strade di Seoul.

E Jimin su quella frase ci rifletté tanto. Forse la ragazza aveva ragione. Forse lui amava semplicemente come si sentiva quando si trovava insieme agli altri sei. E se così fosse stato, avrebbe dunque da sempre assunto un atteggiamento egoistico, obbligandoli a continuare a rischiare la vita, pur di rimanere accanto a lui. Da quando aveva perso suo fratello, loro lo avevano fatto sentire di nuovo felice. Grazie a loro Jimin era tornato ad essere quello di sempre.

Eppure quel pensiero gli passò subito dalla testa. Era come se volesse negare a se stesso la verità.

"No Layla, io amo il mio lavoro. Amo ciò che faccio: salvare vite umane, combattere per i diritti e garantirli a chi non li ha mai conosciuti. Regalare sorrisi e libertà. È per questo che io sono un militare. E lo sono con la consapevolezza di poter morire in ogni momento, con la consapevolezza di avere un'arma tra le mani, di lasciare a kilometri e kilometri di distanza persone a me care. Ma ciò l'ho sempre fatto con piacere e mai con avvilimento. Solo quando proverò dolore nel momento in cui dovrò lasciare la mia casa, allora lascerò il mio lavoro. Però..."

"Però cosa?"

"Però ci eravamo fatti una promessa. O tutti o nessuno. E ora Jungkook se n'è andato."

𝐋𝐚 𝐝𝐢𝐟𝐟𝐞𝐫𝐞𝐧𝐳𝐚 𝐭𝐫𝐚 𝐦𝐞 𝐞 𝐭𝐞 |𝐏𝐚𝐫𝐤 𝐉𝐢𝐦𝐢𝐧|Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora