𝐬𝐚𝐥𝐯𝐚𝐭𝐢 𝐝𝐚 𝐬𝐨𝐥𝐚, 𝐬𝐞 𝐯𝐮𝐨𝐢

31 6 0
                                    

"Aiuto!" Una voce stridula cercava di attirare l'attenzione.

Eravamo stati travolti e sbarazzati via da una massa di detriti feroci, che cadevano come stelle cadenti in una calda sera d'estate. Quelle, però, erano stelle che facevano male, stelle omicide, assassine, che decollavano come aeroplani con l'unico e crudele intento di mettere a tappeto civili innocenti. In fondo si sa, la guerra è questa. Anche chi è giovane ha gli occhi da grande, anche i bambini conoscono il dolore della distruzione. Le madri si disperano per i figli che servono la patria, i prezzi dei beni di prima necessità si elevano e non rimane altro che povertà; povertà ricca di sofferenza e rammarico di quei padri di famiglia, ormai incapaci di proteggere le proprie case, le proprie mogli, i propri figli.

"State tutti bene?" Chiese Jimin, alzandosi dolorante e ferito.

Ma in quel silenzio nessuno proferì parola. Nemmeno il "piccolo" Jungkook che era solito sdrammatizzare in situazioni come quelle, nemmeno Taehyung, il suo migliore amico, che si vantava spesso di essere il migliore nello schivare proiettili. Nessuno. La paura che si celava dietro agli occhi di vetro marrone del ragazzo iniziò ad emergere e a farsi spazio tra la distruzione.

"Ragazzi, non fate scherzi."

Si guardava attorno, in cerca dello sguardo rassicurante di Namjoon o del sorriso raggiante e luminoso di Hoseok. Era rimasto solo, in un gemito di dolore che ormai non sentiva più. Intorno a lui, si era venuta a formare una barriera trasparente che non solo lo escludeva dalla realtà, ma anche, simultaneamente, non gli permetteva di vedere nient'altro se non il buio totale della solitudine. Non sentiva niente e non vedeva nulla.
Un rumore proveniente da dietro di lui, lo risvegliò da quello stato di trans.

"Che cosa è successo?"

Layla era accorsa immediatamente nel luogo dell'accaduto, e insieme a lei Jin, Hoseok e Taehyung.

"Dove sono gli altri?" Chiese il ragazzo.

"Se non lo sai tu, come puoi pensare che io lo sappia?" Rispose lei ironicamente. "Erano tutti con te." Continuò.

Jimin la guardò negli occhi con un'espressione spaventata e spaventosa, poi si inginocchiò e iniziò a spostare disperatamente le macerie da una parte all'altra.

"Devo trovarli." Diceva. "Devo trovarli a tutti i costi."

Anche Hoseok e Jin si unirono a lui, con le lacrime che cadevano come gocce di un rubinetto rotto sulle gote rosee. Taehyung era rimasto immobile dov'era. Sembrava paralizzato. Era una scena tanto raccapricciante da accartocciare quel cuore di carta velina che Layla nascondeva dentro di sé. Per la prima volta dopo tanto tempo, quella donna fredda e menefreghista, si sentì in dovere di aiutare un compagno, di sporcare la sua divisa mimetica per salvare vite umane.

"È inutile, sono morti." Disse lei.

"Non sono morti!" Urlò Jimin. "Non sono morti." Ripetette poi a voce più bassa.

Layla si bloccò, agghiacciata dal terrore negli occhi del biondo.

"Se rimaniamo qui, rischiamo di saltare tutti in aria!" Rispose.

"E allora vattene... salvati da sola. Io non me ne vado senza di loro."

Ma fu in quel momento che Layla si accorse di un braccio fuoriuscente da un masso di cemento. La mano sembrava ancora rosea, ma non si muoveva.

"Ragazzi." Disse indicando il corpo.

"Jungkook!" Esclamò Jin, che non perse tempo a spostare il pesante materiale dalla spalla del ragazzo, il quale sembrava stordito e sofferente.

"Sta perdendo troppo sangue." Disse Layla, inginocchiandosi accanto a lui. "Dobbiamo portarlo immediatamente indietro."

"Vengo con te." Si intromise Jimin.

"No, sei troppo coinvolto emotivamente."

"È sotto la mia tutela."

"Ti sbagli, è sotto la nostra tutela."

"Layla... ti prego. Lasciati aiutare..."

"Non ho bisogno di gente che potrebbe peggiorare la situazione. È meglio che rimaniate qui e che non combiniate guai." Disse la ragazza prendendo Jungkook e aiutandolo ad alzarsi e a camminare.

E mentre la squadra si ricompose e si rimise all'opera, Layla contava. Contava il duecentesimo paziente che sarebbe passato sotto il suo bisturi e le sue cure nel giro di quelle poche settimane a Kiev.

"Ti sei svegliato?" Chiese lei, rientrando nella tenda dove Jungkook riposava ancora sotto anestesia.

"Quindi non sei cattiva come dicono?"

La ragazza accennò un sorriso, ma non rispose. Continuava a misurare i parametri vitali del paziente e a lavorare sodo.

"Perché ti comporti così? Per quale motivo fai finta di essere stronza?"

"Sono nata così."

"Nah, tu sei buona."

"E cosa te lo fa pensare?"

"Altrimenti mi avresti lasciato morire."

Dopo qualche secondo di silenzio, Layla confessò.

"L'ho fatto per i tuoi amici. Sembra ti vogliano molto bene. So cosa significa perdere qualcuno di importante in guerra."

"Ahhh, lo sapevo, sei una sopravvissuta. Che missioni hai fatto? Dove sei stata?"

"Jungkook, sta' zitto e riposa." Disse lei uscendo, portando via le bende insanguinate. E proprio mentre si incamminava, inserì la mano nella tasca interna della giacca, ma non trovando ciò che era sempre stato lì, sul cuore, andando nel pallone, sbiancando e impallidendo.

"Ma dov'è? Cavolo non posso averlo perso!"

"Cerchi questo per caso?"

Layla si girò di scatto e vide dietro di sé Jimin con una foto che faceva penzolare dalla mano.

"Dammela!" Disse lei, cercando di portargliela via. Ma lui sì scansò.

"Non mi hai ancora detto chi è."

"Non sono affari tuoi."

Il ragazzo si arrese e rimase immobile nel fissare la ragazza in divisa, tornando serio.

"Grazie per esserti presa cura di Jungkook." Le stese la polaroid con entrambe le mani. Layla la afferrò frettolosamente e cercò di nascondere l'imbarazzo che si era formato sul suo viso.

"Ho fatto solo il mio dovere. Grazie per aver recuperato la foto."

"Ah, non sai quanto mi è costato prenderla." Sorrise.

"Beh, è stato un bel gesto." Disse lei, osservando con gli stessi occhi di sempre quel pezzo di carta tra le mani.

"Quindi, ora, siamo amici?"

𝐋𝐚 𝐝𝐢𝐟𝐟𝐞𝐫𝐞𝐧𝐳𝐚 𝐭𝐫𝐚 𝐦𝐞 𝐞 𝐭𝐞 |𝐏𝐚𝐫𝐤 𝐉𝐢𝐦𝐢𝐧|Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora