4.

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Heidi.

Erano passate due settimane dall’ultima volta che avevo incontrato il ragazzo della metro. Due settimane che non sentivo il suo odore. Due settimane che non sentivo il suo sorriso aleggiare nell’aria, o che non sentivo il suono della sua risata. Due settimane in cui avevo dormito male, col pensiero fisso su di lui. Due settimane in cui avevo cercato di andare avanti con la mia routine.
Ma due settimane in cui ero stata più distratta del solito.
Se n’erano accorti tutti , da Victoria a Liam, da Louis ad Eleonor. Persino mia madre si era accorta che non ero più la solita Heidi. Sorridevo a fatica, e stavo diventando intrattabile con tutti. Non era mai successo in vent’anni, possibile che stesse succedendo per un ragazzo di cui nemmeno conoscevo il nome?
«Non vedo l’ora che vi rincontriate», mi fa notare Louis mettendomi in braccio Denise, sei anni. Che subito si mette a disegnare sul suo blocco da disegno, canticchiando a bocca chiusa. Sento il rumore di un pastello a cera in sottofondo, segno che come al solito è totalmente concentrata nel suo capolavoro. Che purtroppo io non potrò mai vedere.
Denise è autistica. Parla poco e niente, se non con i suoi genitori. Ha preso a parlare un po’ di più solo da quando i suoi genitori la lasciano pomeriggi interi con me e Louis. Parla solo con me però. Sospetto che il fatto che il mio migliore amico la veda la intimidisca, e non poco.
Torno in me quando sento la mano fresca di Louis sulla mia.
«Sai, mi sto rassegnando al fatto che non mi voglia perché sono…».
«Non provare nemmeno a pensarlo, piccola», mi interrompe in un sussurro stringendomi dolcemente una mano, per poi lasciarmi un bacio su una guancia e allontanarsi, chiamando altri bambini per giocare con lui. Scuoto la testa con un mezzo sorriso e accarezzo delicatamente i boccoli della bimba seduta sulle mie ginocchia.
«Secondo te stavo meglio il giorno che ho incontrato quel ragazzo?», chiedo a Denise posando le labbra sul suo orecchio. Si è abituata a quel contatto, non lo faccio perché non sente, ma semplicemente perché il contatto delle mie labbra col suo orecchio le è familiare.
È autistica, e a me risponde solo dopo quel contatto.
È il nostro modo di comunicare.
Denise scuote la testa, annuendo. «Eri più felice», mormora smettendo di sfregare i pastelli sul foglio di carta. Sorrido involontariamente, attorcigliandomi un suo boccolo intorno alle dita. «Eri come quando io sto con te, Heidi», mormora ancora, spiazzandomi.
È come se mi avesse detto che con me sta bene, che è felice.
Una gran bella soddisfazione sentirsi dire da una bambina – autistica – di sei anni, che con te sta bene. Significa che non tutto quello che faccio è sbagliato, in fondo. Soprattutto se a dirlo è una bambina speciale come Denise.
«Dovrei cercarlo secondo te?», le chiedo con cautela dopo qualche secondo. La sento girarsi verso di me e prendermi una mano, per poi avvicinarsi sensibilmente e lasciarmi un bacio su una guancia, immergendomi nel profumo del suo shampoo al limone. Sono sconvolta, per il bacio intendo. È una di quelle manifestazioni di affetto che non ti aspetti da una bambina autistica. «Denise, allora?», le chiedo gentilmente sfiorandole il viso con due dita.
«Non dovrebbe essere il principe a cercare la principessa?», mi chiede di rimando. La sento sorridere, così scoppio a ridere. Ha sei anni, e i suoi genitori non sono poi tanto uniti, è normale che ragioni con quello che sa. Le favole. E anche se quasi mi dispiace ammetterlo, ha ragione.
Annuisco, dandole un bacio sulla fronte.
«Io non sono una principessa», le faccio notare con un sorriso amaro. Un sorriso che per lei sembrerà uno dei miei soliti, ma che a me costa da morire. Non sono una principessa. Non posso esserlo. Nelle fiabe le principesse… ci vedono. Nelle fiabe la principessa di turno non ha un incidente d’auto, non perde il ragazzo di cui è innamorata.
Perché è proprio quando paragono la mia vita ad una di quelle fiabe, che mi accorgo di quanto la mia vita faccia schifo. Beh, ho degli amici, mia madre, un lavoro che riesco a fare anche se non vedo.
Ma è proprio questo il punto. Non ci vedo.
E anche se sorrido con tutti, se provo a vivere una vita da persona “normale”…
Non sarò mai più normale. E mi manca, da morire.
Mi manca svegliarmi la mattina e guardarmi allo specchio. Mi manca specchiarmi negli occhi limpidi di Louis. Mi manca lo sguardo ironico di mia madre, o il suo sorriso. Mi manca vedere cosa indosso. Mi mancano i pomeriggi in cui da bambina me ne stavo sdraiata sul prato a guardare le nuvole passare.
Mi manca Alex. Mi mancano le feste in cui mi trascinava contro la mia volontà.
Mi mancano i colori, più di quanto io stessa riuscirei ad ammettere.
E mi accorgo di aver lasciato uscire una serie di lacrime solo quando sento le dita minuscole di Denise spazzarle via, per poi abbracciarmi, nascondendo il viso nell’incavo del mio collo. Tiro un sospiro. Mi serviva proprio, quell’abbraccio. Anche se magari avrei preferito che fosse qualcun altro ad abbracciarmi, che fosse un altro odore a circondarmi.
Ma alle parole di Denise quasi non mi sciolgo, letteralmente. E mi sento meglio, davvero.
«Sei la principessa più forte di tutte, Heidi», mi dice in un soffio.
E sorrido davvero, lasciandole un bacio sui capelli. Torno a sorridere come sempre, con quelle parole. Come sorridevo un tempo, tre anni fa. Come sorridevo con Alex, o con le mie vecchie amiche.
Lo stesso sorriso di due settimane prima, sulla metro.
Lo stesso sorriso che era riuscito a scatenare l’incontro col ragazzo senza nome.
E inizio a sperare che Denise abbia ragione. Che debba essere il principe a trovare la principessa. Che io sia una principessa. Che lui mi trovi, in un modo o nell’altro. E che magari si sbrighi, perché chissà come mi manca.
E davvero non riesco a capirne il motivo.

Blind love. [Zayn Malik]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora