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Aurora.


«E Nathan che fine ha fatto?».

La voce un po' squillante di Kenneth – mio fratello minore – mi da la forza di incrociare di nuovo lo sguardo troppo simile al mio della donna che ci ha raccontato tutta la storia, distogliendolo quindi dall'enorme album di foto dalla vecchia copertina di pelle che tengo aperto sulle ginocchia. Ken ha posto a nostra nonna proprio la domanda che avrei voluto farle io, una volta assimilata tutta quella marea di informazioni della quale ci ha caricato, un po' per noia e un po' per curiosità.

Mi scappa un sorriso, mentre scompiglio i capelli neri di quella peste che ho per fratello, facendolo sbuffare e facendo quasi inspiegabilmente ridere la signora anziana seduta su quella sedia a dondolo di vimini che potrebbe benissimo avere la sua età, senza problemi. Io sorrido per il suo sguardo ancora così celeste da far impallidire chiunque e lei ride per il mio gesto, per lo sbuffo di mio fratello, per il ricordo che ha lei di quel gesto, di quella reazione.

E Kenneth inizia a spazientirsi, vuole una risposta, vuole che qualcuno colmi quella curiosità perché, insomma, che fine ha fatto Nathan? Lo osservo qualche istante, trovando piuttosto imbarazzante la somiglianza con le vecchie fotografie di nostro nonno; gli stessi capelli neri, lo stesso odio nei confronti di chiunque quando glieli si scompiglia, lo stesso naso, le stesse orecchie piccole e gli stessi – identici – occhi un po' castani e un po' no. Mi mordo un labbro, passandomi poi una mano tra i capelli che sono l'opposto di quelli di mio fratello e aspettando con lui una risposta che non tarda molto ad arrivare.

Una decina di secondi, e posso vedere le labbra circondate di piccole rughe di nostra nonna stirarsi nell'ombra di un sorriso forse un po' triste, mentre con le dita prende a giocare con la punta della lunga treccia di capelli bianchi che le arriva in vita. «Nathan ha imparato a farsi imparare da Ariel, quando tutti si aspettavano che facesse qualche sciocchezza delle sue e rovinasse tutto di nuovo... sono persino venuti al mio matrimonio col nonno. Ci deve essere nelle foto, Rori».

Torno indietro di parecchie pagine, fermandosi sulla figura di una giovane donna dai corti capelli biondo chiaro in abito da sposa, sorridente e mano nella mano con due ragazze della stessa età, somiglianti alla lontana, una coi capelli rosso porpora e gli occhi castani e l'altra coi capelli tinti di nero e gli occhi grigi ma che nelle foto sembrano azzurri. Charlotte e Ariel, amicizie inaspettate ma mai più abbandonate una volta instaurate.

Sposto lo sguardo sulla foto accanto, in cui il sorriso di Ariel nello stesso corto abito blu della foto precedente si riflette nel sorriso dell'uomo che le posa dolcemente un bacio sulla tempia, rischiando di rovinarle l'acconciatura – anche se a giudicare dai loro sorrisi è l'ultima cosa di cui gli importa. Nathan sorride quanto Ariel, in quella foto, e io sorrido soddisfatta, perché nonostante tutto non è mai stato così cattivo come si sarebbe potuto pensare all'inizio di quella lunga storia.

Torno alla foto con Charlotte, trattenendo a stento una risata.

«Era incinta».

E nonna Heidi scoppia a ridere con me, mentre il piccolo Kenneth scivola giù dal dondolo di plastica bianca e corre di nuovo in spiaggia, pronto a rituffarsi tra le onde e a imbrattarsi di nuovo di granelli di sabbia e di salsedine. Lo guardo per qualche secondo, prima di rincontrare lo sguardo obliquo di quella donna che ammiro così tanto dopo quello che ci ha raccontato, che credo davvero che un libro non basterebbe per descrivere la stima e l'ammirazione che provo per lei.

Blind love. [Zayn Malik]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora