18.

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18.

Heidi.

E le avete detto che sarebbe rimasta così per sempre?
Le parole di Zayn mi risuonano nella mente, all'infinito, come con un disco rotto. Solo quelle dieci parole, a ripetizione, come se non riuscissi a sentire nient'altro se non quelle. Beh, in fondo non ha tutti i torti. I medici sapevano. Sapevano che poteva esserci qualcos'altro. Forse lo sapeva anche mia madre, probabilmente.
Ma nessuno mi ha detto una parola. Hanno preso il mio terrore per gli ospedali e me lo hanno rivolto contro. Hanno lasciato che io vivessi tre anni senza vedere quando in realtà sarebbe bastato qualche esame... e ci sarebbe stata una possibilità - anche se minuscola - di tornare a vedere.
Speranza. Piccola, minuscola. Ma pur sempre un briciolo di speranza.
Ma, tornando a Zayn... sto fissando il vuoto. Da cinque minuti buoni. Ho ignorato l'uscita di Charlotte dalla mia stanza. Ho ignorato il medico. E ho ignorato mia madre. Riesco a solo a rivedere nella mia mente la sua espressione... ferita, in un certo senso. E' scappato. Senza dire una parola. E senza darmi la possibilità di spiegare. Senza darmi la possibilità di fargli vedere come mi sento davvero... male. Molto male.
Tradita. Abbandonata. Lasciata sola.
Lascio scorrere una lacrima, e nel momento esatto in cui inizio a piangere, mia madre e il dottor Harrison smettono di parlare, come per magia. C'è silenzio. Più di quanto riesca a sopportare. «Piccola...». Mia madre mi si avvicina. Ma blocca la mano a mezz'aria, la sento, vedendo che mi ritraggo, forse senza nemmeno volerlo. «Heidi, tesoro...». Le trema la voce, come se si stesse trattenendo dallo scoppiare a piangere con me.
Ma è un attimo, e svanisce tutto. Sia il silenzio, che il tipico odore da ospedale. Svaniscono nel nulla, sostituiti da un respiro affannato, che sa di fumo di sigaretta. Un odore di muschio, tabacco e menta, che spazza via tutto.
Dolore. Tristezza. Abbandono.
Il tutto, sostituito da un abbraccio. Dal suo odore. Dal ruvido della sua barba contro il mio collo. Un bacio appena sotto il lobo dell'orecchio. Uno "scusa" appena sussurrato, come portato da un alito di vento caldo quando hai freddo, dentro e fuori. E la porta della stanza che viene aperta e poi richiusa, prima che Zayn si allontani e spazzi via coi pollici le lacrime dalle mie guance.
«Scusa...», mi soffia sulle labbra, a voce appena più alta.
Mi sfugge un sospiro, come sempre quando sono con lui, in quel modo. «Se non avessi bisogno di te, ti avrei già preso a calci in culo, Malik», riesco a mormorare, chissà come. Ho smesso di piangere, anche se mi trema ancora la voce dal dolore. «Se non...». Mi blocco all'improvviso, accorgendomi di quello che sto per dire.
Se non ti amassi.
«Se non...?».
Lo sento appena pronunciare quelle parole. Perché lo vedo. Nel vero senso della parola. Lo vedo, a colori, senza sbavature, per un paio di secondi. Vedo il profilo della mascella, la barba, la linea delle labbra... e gli occhi chiusi. Chiusi. Apri gli occhi, amore. Sbatto le palpebre a ripetizione, sperando di tornare a vederlo, per qualche altro secondo. Ma niente, sono tornata nel buio.
«Ti ho visto...», sussurro piano. Pianissimo. Mi tremano le mani, senza che riesca a controllarle. È impossibile. L'ho visto. E sono tornata al buio. Ma dura poco, e Zayn intreccia le dita di entrambe le mani con le mie, posandomi poi un bacio sulla fronte. «Avevi gli occhi chiusi». Ma sei proprio tanto bello, lo sai?
Lo sento sorridere. E quel sorriso mi fa respirare un po' meglio.
Anche se non lo vedo.
«Hai cambiato argomento, però», mi fa notare dopo una manciata di secondi, riuscendo a spezzarmi il respiro in due. Me ne sono quasi dimenticata, focalizzando la mia attenzione sulla novità della giornata... averlo visto, anche se per un attimo, mi ha scombussolata. Più di quanto riuscirei ad ammettere. «Se non...?», ripete ancora, passando due dita sulla mia gola, dal mento a poco sopra l'incavo tra i seni.
Cattura un mio sospiro fra le labbra, rimanendo a qualche millimetro da me. Immobile, come una statua di cera. Allora mi accorgo che la mia paura per gli ospedali è niente. Niente in confronto alla paura che ho di dire quelle due semplicissime parole.
Ho paura. Paura di dire due parole. Paura di venir presa per pazza, perché innamorarsi di qualcuno che si conosce da meno di due mesi è letteralmente da manicomio. Non ho mai creduto all'amore a prima vista. In senso lato, ovviamente. Ho paura che se dico di amarlo lui possa scappare.
E sono stanca di rimanere sola e delusa da tutti.
«Ho paura...».
«Non vado da nessuna parte, qualsiasi cosa tu volessi dire prima, piccola». Faccio un respiro profondo, per poi buttare fuori l'aria in un sospiro. Pesantissimo. Come un macigno. E le mie labbra sfiorano le sue, nel tempo di quel respiro. «Resterò con te sempre, te lo giuro», aggiunge tra un bacio a stampo e l'altro.
«Anche se dovessi rimanere così per sempre?», gli chiedo, stranamente con voce abbastanza ferma, lasciando scorrere una lacrima, sfuggita al mio controllo. Bum, bum, bum. Sento il cuore battermi fin nelle orecchie, da quanto batte forte.
Bum-bum, bum-bum, bum-bum.
E un altro battito di cuore si aggiunge al mio. Più forte. Più veloce. Inesorabile. Come se potesse esplodere da un momento all'altro. E una mano, che prende la mia e la porta alle labbra. Ne bacia le dita, una dopo l'altra, piano. Poi le dita si intrecciano, e finiscono dritte sul suo cuore, senza che nessuno dica loro di farlo.
«Sempre...».
Un sussurro. Ma la parola più intensa che mi abbiano mai detto in vent'anni. Un sospiro. Flebile. Ma che ha più importanza di qualsiasi altra parola mi sia stata detta prima di questa. Sempre. Sei lettere che, in qualche modo, riescono a convincere la parte folle del mio cervello a fare questa pazzia, senza sensi di colpa, rimorsi, o qualsiasi altra cosa possa farmi pentire di quello che sto per dire.

Blind love. [Zayn Malik]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora