Zayn.
Avete mai avuto paura di rimanere da soli? Quella paura che arriva quando si trova quel qualcuno col quale si sta davvero bene, ma poi si inizia a pensare al peggio, al fatto che magari questa persona potrebbe sparire da un momento all'altro, senza lasciare traccia del suo passaggio.
Senza spiegare perché. Potrebbe uscire dalla mia vita e basta, magari per qualcosa che ho fatto ma non mi sono reso conto. Sono impulsivo, da sempre. E lei è imprevedibile, alla massima potenza. Se non fosse che ormai ho imparato a convivere con quel lato di lei, mi stupirei ancora ogni volta che mi sorride.
E magari lo faccio. Solo, ho smesso di accorgermi delle mie stesse reazioni, da quanto sto con lei. Perché ogni mia più piccola espressione è il riflesso quasi identico di qualcosa che fa lei, e non posso fare niente per impedirlo. Lei sorride, e sorrido io. Lei ride, e rido io. Lei si intristisce, e di conseguenza divento triste anche io.
Non ho smesso di pensarci da quando ho suonato la chitarra davanti a lei, raggomitolata su quella poltrona di pelle ormai logora. L'ho guardata sorridere tutto il tempo, senza riuscire a smettere di sorridere a mia volta. L'ho guardata versare una lacrima, due, tre, sempre con le palpebre abbassate, e sempre sorridente. Felice. Felice di sentirmi suonare.
Come se stesse capendo davvero quello che volevo dirle, anche se senza parlare.
E non ho smesso di pensare a quel sorriso, da quel giorno. Come se me lo avessero impresso a fuoco nella mente. Incancellabile. Indelebile. Il suo sorriso era sempre lì, che avessi gli occhi aperti, o chiusi, che stessi dormendo o meno. Il suo sorriso rimaneva lì. Come una diapositiva abbandonata in un proiettore lasciato acceso.
Non ho smesso nemmeno per un secondo di pensare a quanto mi mancherebbe quel sorriso, se lei mi lasciasse. A quanto mi mancherebbe, se lei sparisse dalla mia vita, come se non fosse mai realmente passata dal mio cuore.
Avete mai avuto paura di rimanere soli? Io sì.
Ogni volta che penso a come starei senza Heidi. Ogni volta che la guardo addormentarsi con quel piccolo broncio a incresparle le labbra. Ogni volta che io annuisco e lei si trattiene dal ridere. Ogni volta che centra le mie labbra con le sue per farmi stare zitto, pur senza vedermi. Ogni volta che la sua mano si incastra alla perfezione con la mia, e trattengo il fiato per un attimo, pensando a come sarebbe... senza.
Senza il suo sorriso, la sua risata, la sua mano contro la mia.
Come sarebbe? Farebbe schifo come penso, probabilmente. Ed è per questo che ho paura. Tornerei ad essere lo stronzo insensibile che ero prima, senza di lei. Manderei a puttane tutto, di nuovo, senza di lei. Allora che senso avrebbe avuto lottare contro tutto e tutti per starci insieme, se lei sparisse?
Che senso avrebbe? Nessuno, probabilmente.
E sono passati altri cinque giorni. Sono le tre di notte. E non riesco a dormire.
Tra sei ore, la risonanza magnetica. Lei dorme, abbracciata a me, coi capelli legati in una crocchia disordinata, che le lascia scoperto il collo. Dorme con la testa posata sul mio petto, il respiro che si infrange contro la mia clavicola. Un braccio a circondarmi la vita, una mano che finisce sul mio fianco, appena sopra l'elastico dei boxer.
La mia mano non smette un attimo di accarezzarle la schiena. Sento la pelle d'oca formarsi sotto i polpastrelli non appena faccio scivolare la mano sotto la canottiera - la mia canottiera - che indossa. Sospira piano, ma non si sveglia. Stringe la presa sul mio fianco, cambia posizione, e continua a dormire.
Mi viene da sorridere, in automatico.
E vedo un sorriso formarsi sul suo viso, nella penombra della sua camera da letto a casa della madre. Un mezzo sorriso, ma di quelli che riuscirebbero a illuminare qualsiasi cosa, in una qualunque notte senza luna e senza stelle. Perché se fossimo lontani, e sapessi che lei sta sorridendo, mi basterebbe alzare lo sguardo alla notte.
In fondo, viviamo tutti sotto lo stesso cielo, giusto?
Sfilo la mano da sotto la canottiera, e le lascio un bacio sui capelli biondi, che riconosco anche al buio. Non ho sonno, per niente. Ma tanto vale provare a dormire... «Sei sveglio?». Mi scappa una risata, appena accennata, prima che possa mormorarle un "sì" nell'orecchio, che la fa sorridere, oltre che rabbrividire. «Da molto?». Annuisco piano, strofinando il naso contro la sua tempia. Evito di dirle che non ho dormito, si preoccuperebbe. Farebbe domande alle quali non sono sicuro di voler - o riuscire a - rispondere.
«Sei nervosa?», le chiedo in un soffio, attento a non fare troppo rumore. Non voglio svegliare sua madre, o suo padre. Tra l'altro, io dovrei essere nella stanza degli ospiti. Piccolo e insignificante dettaglio. Mi riscuoto non appena la sento annuire, i suoi capelli a solleticarmi una guancia. «E se ti facessi evadere per un paio d'ore?», le propongo dopo una manciata di secondi. Ancora un soffio, con le labbra praticamente posate sulle sue.
«Cos'hai in mente?».
Non le rispondo. Semplicemente, le lascio un bacio sulla fronte, prima di tirarmi su a sedere e tirarla su con me. La sento ridacchiare, quando faccio scivolare le dita sulla sua pelle, per aiutarla a liberarsi della canottiera, e le passo una maglietta pulita e una felpa da mettere sopra, in modo che non senta freddo. Faccio la stessa cosa coi pantaloncini del pigiama, facendole poi indossare un paio di jeans e un paio di Converse, mentre lei mi sfila la maglietta, lasciandomi per un momento senza fiato.
«Ricambi il favore?».
La vedo annuire, mentre si mordicchia il labbro. «Peccato che non possa...».
«Nemmeno io ti ho guardata», mormoro, baciandola poi velocemente sulle labbra. «Perché credi che non abbia acceso la luce?». So benissimo che anche lei sa che siamo al buio. Avrebbe sentito il rumore dell'interruttore, in caso contrario. E ride appena, prima che io possa catturare quella risata tra le labbra, e farla mia, renderla parte di me. La bacio piano, tenendole il viso tra le mani, accarezzandole una guancia con il pollice, mentre con l'altra mano le stringo un fianco, tenendola il più vicina possibile a me.
Sento le sue dita giocare coi miei capelli, poco sopra la nuca, e un sorriso comparire sulle sue labbra, nel bacio. Ed è un attimo, prima che un suo sospiro si faccia spazio fino alle mie orecchie, mentre sento la porta aprirsi lentamente e l'interruttore della luce scattare, facendomi strizzare gli occhi per la troppa luce.
Sua madre ridacchia, passandosi poi una mano tra i capelli. «Stavate uscendo?».
Vedo la mia ragazza aprire la bocca, e poi richiuderla, con un'espressione spaesata sul viso, che mi fa sorridere. Allora annuisco al posto suo, infilandomi un paio di jeans e le scarpe, ancora sotto lo sguardo divertito della madre. «La porto... siamo nervosi per la risonanza», confesso passandomi una mano tra i capelli, tirandone le punte fin quasi a strapparli. Fin quasi a farmi male.
«In ospedale alle nove, Zayn... mi fido, mi raccomando».
Heidi mi lascia un bacio su una spalla, ridendo tra sé, prima che sua madre ci faccia uscire. Non una protesta. Non un rimprovero. Niente. Come se non le importasse. O come se le importasse solo del sorriso della figlia, quanto importa a me, in effetti. Siamo fuori, e poi in macchina. In silenzio per tutto il tragitto, mentre Heidi si rannicchia sul sedile di pelle e chiude gli occhi, respirando piano.
Sono i venti minuti più lunghi della mia vita.
Venti minuti in cui mi viene in mente che forse sto sbagliando tutto, dal primo all'ultimo gesto, dalla prima all'ultima parola. Sbaglio, quando le apro la portiera e la aiuto a scendere dall'auto. Sbaglio, quando le lascio un bacio sulla tempia, prima di prenderla a braccetto e guidarla.
Dritto davanti a noi, c'è un giardino recintato. Una specie di serra gigantesca, a dire il vero. O forse, una serra gigante circondata da un giardino, circondato da un muro di mattoni. C'è un cancello, ma io ho le chiavi. Il custode mi conosce da quando ero bambino. Conosceva Doniya, e sa praticamente tutto di me. Quasi tutto, certo. Ma sa abbastanza da fidarsi e avermi lasciato una copia delle chiavi.
È uno dei miei posti preferiti, in assoluto. Era il posto preferito di mia sorella maggiore, e Safaa lo adora. Io ci passerei le ore, in silenzio, solo col rumore del carboncino che scivola sul foglio bianco, quasi vivesse di vita propria. Come se non fossi io a disegnare, ma lo schizzo si tracciasse da solo, in autonomia.
Era il posto in cui mia madre mi portava da piccolo. Agli altri bambini piaceva giocare a calcio. Io disegnavo. Mi chiudevo il quel giardino, mi sedevo sotto un albero e col blocco da disegno in equilibrio sulle ginocchia, disegnavo. Disegnavo e basta, apparentemente senza motivo alcuno.
E mi è sempre piaciuto quel giardino, anche di notte.
Anche nella penombra, con solo le lampade a bassa intensità ad illuminare il sentiero.
Solo, stanotte non posso stare alla luce. Non posso, non voglio, e non sarebbe giusto. Perché Heidi è al buio sempre, ogni giorno. In ogni momento, frustrata perché non può vedermi. Lo vedo da come di comporta, da come a volte sorride solo a metà.
Possiamo essere alla pari, qui. Qui, più che in qualsiasi altro posto.
Le scosto le mani dalle orecchie. Coprirle gli occhi non avrebbe senso. Con lei si fa tutto al rovescio, ormai è chiaro. E ormai mi sono abituato. «Pronta?», le chiedo in un soffio stringendole appena i fianchi, voltandola poi verso di me. Apre la bocca, come per dire qualcosa. Ma poi sgrana semplicemente gli occhi, facendomi ridacchiare. «Cosa senti?», le chiedo ancora, soffiandoglielo delicatamente sulle labbra.
Io sento la pelle d'oca formarsi sulle sue braccia, mentre gliele accarezzo. Sento il suo respiro che sa di fragole, infrangersi sul mio viso. Sento il suo profumo arrivarmi alle narici, portato dal vento. E sento l'odore delle belle di notte, come sento il rumore leggero delle migliaia di farfalle che ci svolazzano intorno, alcune posandocisi addosso.
Più di tutto, sento lei.
«Le farfalle, i fiori... sento te». Non avrebbe potuto dirlo in modo migliore. Con gli occhi chiari e lucidi visibili anche al buio, il labbro inferiore che le trema appena, la voce leggermente commossa. Bellissima, mentre una farfalla apparentemente senza colore le si posa sulla punta del naso, facendola ridere, facendole arricciare il naso dal solletico che deve averle provocato quell'insetto tanto bello. Bello quasi quanto lei.
E la farfalla vola via, mentre lei continua a ridere.
Ed è la cosa più bella del mondo. Il suono più bello che esista, gli occhi più meravigliosi che ci siano. Mi importa solo di lei. E di quanto io stia bene a vederla e sentirla ridere. Le lascio un bacio sulla fronte, mentre lei fa scivolare le braccia intorno al mio busto, stringendomi a sé.
«Mi prometti una cosa, amore?», la sento sussurrare contro la mia spalla. Siamo immobili. Mi sembra che sia una vita, che siamo fermi così. Non posso far altro se non annuire, baciandole pianissimo i capelli. Qualsiasi cosa voglia che le prometta, qualsiasi condizione mi dovesse imporre. «Mi prometti che farai tutto il possibile perché io torni a vedere?».
Faccio un respiro profondo, abbassando le palpebre.
È una richiesta folle, che potrebbe quasi sembrare disperata, se non fosse appena scivolata via dalle sue labbra. Lei credeva di dover rimanere al buio per sempre. Ora invece c'è uno spiraglio, che lascia entrare un minuscolo fascio di luce nella sua vita. C'è la minima speranza che i suoi occhi color mare rivedano il cielo che sono nati per vedere. Cielo che non vedono più, da troppo tempo.
Lei ci crede. Crede davvero di poter tornare a vedere.
«Te lo prometto». E sì, ci credo anche io.
STAI LEGGENDO
Blind love. [Zayn Malik]
FanfictionHeidi, 20 anni. Zayn, 22 anni. Lei, cieca. Lui, grande osservatore. Lei gli insegnerà ad ascoltare. Lui le insegnerà a vedere. E insieme impareranno ad amare.