27.

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Charlotte.

Per quanto tra me e mia sorella non abbia sempre scorso buon sangue, vederla piangere mi da fastidio. Un fastidio che si irradia dai polsi, che mi formicolano in modo preoccupante; che attraversa le braccia fino ad arrivare al collo, fino a farmi prudere la punta del naso e farmi bruciare gli occhi, rendendoli lucidi.

Per quante ne abbiamo passate, vederla in lacrime mi ricorda quel tempo lontano in cui eravamo bambine e io le rubavo le bambole, staccando loro la testa prima di restituirgliele. Era una cosa che la faceva piangere, che di conseguenza mi faceva stare male. Ho sempre riattaccato le teste alle bambole, solo per vederla accennare un sorriso.

Ma questo va ben oltre quei vecchi pezzi di plastica coi capelli finti.

Li ho sentiti parlare, senza riuscire ad interromperli, senza riuscire a dire una parola. Perché loro due stavano già dicendo tutto quel che c'era da dire. Mi sono accorta a malapena di Harry, della sua smorfia al vedere Nathan, del suo sedermisi accanto e prendermi la mano. Ero come su un altro pianeta, in un altro tempo.

È stato come tornare a tre anni fa.

Come rivivere le urla di Zayn, il mutismo di Nathan, la scomparsa di Ariel, la polizia, le ambulanze, le sirene. Come rivivere il funerale di Doniya, i singhiozzi di sua madre, la bambola di pezza lasciata sulla sua bara bianca dalla piccola Safaa. Come rivivere quei mesi assurdi, le testimonianze alla polizia, il tribunale.

È stato come rivedere anche i ragazzi sull'altra auto.

Tutto lo stesso, tutto nello stesso modo, ma da una prospettiva totalmente diversa.

Dopo tre anni, mi chiedo perché nessuno non ci sia arrivato prima. Se Nathan avesse protetto Doniya dal posto del guidatore si sarebbe rotto il braccio opposto. Se fosse stato dove l'hanno trovato, sarebbe morto lui, non Doniya. Se lui non avesse chiesto a mia sorella di scappare come una mediocre fuggitiva, lei avrebbe potuto dire la sua in tribunale, avrebbe potuto risolvere la faccenda... prima.

Non dopo tre anni.

«Perché adesso?», mi anticipa Harry. Lo ringrazio stringendo appena la sua mano nella mia; io non riesco ancora a parlare, devo mettere a posto ogni pezzo di quel puzzle assurdo, ho bisogno del mio tempo, dei miei pensieri. «Perché cazzo vi siete decisi dopo tre anni?», aggiunge il mio ragazzo, con la voce che gli trema, quasi urlando.

Mi sto facendo esattamente la stessa domanda, inutile negarlo.

Ma un'occhiata a mia sorella basta a spazzare via la curiosità. È davvero odioso vederla piangere; fa davvero male vedere quelle lacrime scivolarle lungo le guance, anche con gli occhi chiusi; è uno schifo vederle tremare le mani e non poter vedere quelle iridi tanto belle, che continua a nascondere dietro le palpebre.

La guardo, e finalmente capisco perché sia tanto cambiata, negli ultimi tre anni in cui non l'ho vista. Capisco perché abbia cambiato colore di capelli, perché sia passata dai mini abiti ai jeans stretti, o perché le sue adorate scarpe col tacco abbiano lasciato il posto agli anfibi, quasi sempre gli stessi, quasi sempre neri. Il biondo è diventato nero, il rosso è diventato nero. L'unico colore che è rimasto lo stesso è il grigio dei suoi occhi, ma anch'esso più scuro, più spento, più sofferente.

Le prendo dolcemente una mano, stringendola appena quando la sento irrigidirsi. Non la sto incolpando di nulla, non ci riesco. Perché non è colpa sua. Lei era solo ubriaca, era solo fatta, era solo innamorata. Non la incolpo, perché lei ha solo... si è solo sballata, e la capisco. Ha solo cercato di sparire, per non vedere la fonte del suo male e del suo bene insieme, e la capisco.

Strano, ma riesco addirittura a capire Nathan.

Per quanto abbia fatto star male tutti, anche dopo l'incidente e dopo la prigione, io lo capisco.

Blind love. [Zayn Malik]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora