Zayn.
Avrei voluto stare così anch’io, per sempre.
Non pensavo di poter essere tanto dolce e sciropposo, nemmeno nei miei sogni. Ma la verità è che è lo stare con Heidi a darmi quella sensazione di assoluta dolcezza – quasi stomachevole – che sinceramente non credevo nemmeno di possedere.
Stare con lei mi rende dolce quanto la melassa.
E la cosa strana è che mi piace sentirmi così. Mi piace trattarla come fosse una principessa. Mi piace prendermi cura di lei, come non ho mai fatto con nessuno che non facesse parte della mia famiglia. Mi piace lei, tutta quanta, dalla testa ai piedi, nonostante io la conosca da così poco.
In più, non la vedo da tre ore e mi manca. Come mi mancherebbe l’aria se fossi un sub.
Mi gratto una guancia, soffiando via il fumo della sigaretta e ripensando per un momento a quando l’ho baciata la prima volta. E la seconda. E la terza, quando l’ho salutata sulla soglia del suo appartamento, sotto lo sguardo incredulo (ma stranamente brillante) di Victoria. Anche se Vicki ha visto quello che ha voluto vedere, ha visto quello che sembrava. Ovvero, un bacio sulla guancia.
Avrei voluto stare così anch’io, per sempre.
È la pura verità. Avrei voluto sentire ancora le due dita sfiorare la mia pelle, le sue labbra sulle mie, il suo profumo a sovrastare tutti gli altri, la sua risata a rompere il silenzio, le sue gambe intorno alla mia vita, il suo seno contro il mio petto…
«Sei ridicolo». La voce divertita del mio migliore amico irrompe nella mia bolla di felicità e quando riapro gli occhi e la sua mano che sventola davanti al mio viso entra nella mia visuale, quasi non mi viene un colpo. Ride, sistemandosi come al solito i capelli. Morirà sistemandosi i ricci, di questo passo.
«Parla quello che se la faceva con la migliore amica… chi è quello ridicolo ora?», scherzo inarcando un sopracciglio. E poi, stavo solo pensando ad Heidi. Che male c’è? Vedo il mio migliore amico fare spallucce, come se non gli importasse quello che penso. E sono sicuro che è così. Non gliene potrebbe fregare di meno, di quello che penso. È fatto così.
«Io però non sono innamorato, tu sì».
Alzo gli occhi al cielo, trattenendomi dal prenderlo a pugni. Sappiamo perfettamente entrambi che io non mi innamoro. L’unica era stata Perrie, ed era finita da troppo poco perché potessi innamorarmi di nuovo. Era passato troppo poco dal mio ultimo “ti amo”. Troppo poco dall’ultima volta in cui avevo creduto in quelle cinque lettere, pronunciate dalle labbra di Perrie. Troppo poco dall’ultima volta in cui avevo creduto di fare l’amore. Per lei era stato solo sesso. Ma mi ero fidato, ciecamente.
Mi ero fidato di lei come mai era successo prima.
Ed ero stato fottuto. Un classico.
«Sento di volerle bene», ammetto con un mezzo sorriso, fondendo i miei occhi cioccolato coi suoi verde prato. Harry ridacchia, divertito per non so cosa, ma io sono distratto da un’immagine che non avrei mai voluto vedere. «Dammi la giacca», dico al riccio alzandomi di scatto, facendo quasi rovesciare il mio caffè e il suo cappuccino. Facendo quasi rovesciare tutto il tavolo, per essere precisi.
Stranamente lo vedo obbedire senza fare domanda, forse spaventato dal mio tono di voce. Ma io sono più spaventato di lui, al vedere la mia migliore amica entrare nel bar scalza e mezza nuda, coperta solo dalla biancheria intima e da una sottoveste nera semitrasparente. Col viso sconvolto, il mascara colato quasi fino al mento e il rossetto solitamente impeccabile sparso ovunque tranne che sulle labbra.
Un attimo, e il bar crolla nel silenzio, mentre mi avvicino a lei.
Un attimo, e ad ogni mio passo avanti lei si allontana, tremando come una foglia.
Un attimo, e la attiro a me, incurante delle sue mute proteste. La faccio scontrare contro il mio petto, mettendole delicatamente la giacca di Harry sulle spalle. Le poso un bacio sui capelli, come per tranquillizzarla… ma continua a tremare, non c’è niente da fare.
«Che è successo, piccola?», mi anticipa Harry avvicinandosi.
Lo vedo asciugarle le lacrime, e dentro di me sorrido. Fortuna che sono io quello innamorato. Fortuna che lui e Charlotte non sono niente. Certo, e si aspettano che ci creda? Non sono tanto imbecille, andiamo.
«N-Nate», la sentiamo balbettare, in un singhiozzo.
Un attimo, e rischio di sentirmi male anch’io. Un attimo, e rischio di tremare almeno quanto lei. Un attimo, e Harry me la toglie dalle braccia, prendendola in braccio e lasciando che Charlie nasconda il viso nell’incavo tra il suo collo e la sua spalla. Un attimo, e senza che nemmeno me ne accorga siamo saliti in macchina, nel più completo silenzio.
Nate. Nathan. La feccia. Una delle persone più cattive che io conosca.
Esatto, cattivo. Non credo che esista un altro termine per descriverlo.
Crudele, forse. Ma “cattivo” rende meglio. È più semplice da capire, potrebbe arrivarci anche un bambino a capire quanto possa essere… odioso, cattivo e crudele. O almeno, nei miei confronti è sempre stato così. Se lo odio? No, l’odio è un sentimento, e io per Nathan non provo assolutamente niente. Sono indifferente nei suoi confronti, ormai. Mi ha fatto troppo male perché io possa ancora sentire qualcosa.
Ma se ha fatto del male alla mia migliore amica me la paga, poco ma sicuro.
Parcheggio con un sospiro nel piazzale davanti casa di Harry e lo aiuto a farla scendere prendendola in braccio mentre lui tira fuori le chiavi e apre la porta di casa. Sento Charlotte sospirare contro il mio orecchio, trattenendo l’ennesimo singhiozzo. «Va tutto bene», le sussurro accarezzandole i capelli color fragola. Le lascio un bacio sulla fronte, entrando in casa di Harry.
«Mamma? Non credevo fossi a casa… portala di sopra», aggiunge Harry voltandosi verso di me. Annuisco, mentre la ragazza tra le mie braccia mugola qualcosa di incomprensibile. «Vengo subito, piccola». E a quelle parole Charlie annuisce impercettibilmente, rilassandosi visibilmente.
Mi viene da sorridere, ma riesco a trattenermi.
Decisamente non è il momento di ridere.
Lascio scendere Charlotte solo una volta arrivati in camera di Harry, e la libero della giacca. Trema ancora, ma non di freddo. Più che altro sembra terrorizzata. «Non voglio che mi faccia ancora male…», mormora alzando finalmente lo sguardo dal pavimento per fissare i suoi occhi nocciola nei miei. Ha gli occhi sgranati, e le tremano le labbra.
«Ti ha fatto male?», le chiedo, cercando di trattenere la rabbia.
Stringo le mani a pugno, facendo sbiancare le nocche.
Dire che sono incazzato nero non rende l’idea, non è abbastanza.
Annuisce piano, mostrandomi i polsi e scoprendo il collo dai capelli. Ha i segni delle dita di Nathan ovunque. Segni rossi, più scuri in alcuni punti, dove deve aver stretto più forte. Segni di violenza che nessuno vorrebbe vedere sulla propria pelle. Segni che non avrei mai voluto vedere sulla pelle candida della mia migliore amica.
«Volevo parlare con Perrie… di quello che è successo con te stamattina», mi dice tormentandosi le mani, nel momento esatto in cui Harry apre la porta, seguito dalle grida lontane della madre. Lo osservo aprire e chiudere la bocca un paio di volte, alla vista dei segni sulla pelle di Charlotte. Ma non dice una parola.
Si limita ad abbracciarla, mentre lei ci racconta cos’è successo.
Ci dice di essere andata da Perrie. Di aver suonato alla porta, e poi di averla chiamata sul cellulare, dato che nessuno le apriva. Ci dice di essersi trovata davanti Nathan mezzo nudo, che stringeva a sé una Perrie confusa, sulla soglia delle lacrime. La stringeva, quasi violentemente, come se volesse farle male.
Ci dice di aver chiesto spiegazioni a Perrie, ma che lei si è limitata a scuotere la testa.
«Mi ha tradito con Nathan mentre stava con me, ecco la spiegazione che volevi», sbotto, alzando leggermente la voce. Harry mi lancia un’occhiataccia, mentre lei ricomincia a tremare come una foglia secca. «Non volevo urlare…».
Il riccio borbotta qualcosa e va verso il bagno, lasciando che Charlotte venga a rifugiarsi tra le mie braccia, sul letto. Sentiamo scorrere l’acqua nella vasca, allora ci chiediamo scusa nello stesso istante. Ridacchio, prendendo ad accarezzarle i capelli.
«Non lo sapevo, di Perrie… non sapevo perché vi foste lasciati».
Scuoto la testa, come a scacciare tutti i brutti pensieri che mi frullano per la testa, e le lascio un bacio su una guancia, cercando di rassicurarla, di farle capire che è tutto finito e che va tutto bene. Finché non mi viene in mente una cosa. «Ti ha violentata?», le chiedo in un soffio, ma senza troppi giri di parole.
Scuote la testa, accennando l’ombra di un sorriso.
«Perrie l’ha fermato, Zayn… è palesemente sotto il suo controllo, ma quando ha visto che Nathan voleva farmi del male…». Si ferma un momento, chiudendo gli occhi. E «Ha minacciato di chiamare la polizia, allora lui mi ha lasciata andare…».
La abbraccio, ringraziando mentalmente la mia ex.
E ripetendomi di non uscire per andare a spaccare la faccia a Nathan.
Non ne vale la pena. Non ne è mai valsa la pena.
«Ancora non capisco cosa ci trovi in lui di tanto affascinante», borbotto dalla soglia della porta di camera sua. Doniya mi lancia un sorriso, ma senza voltarsi. Si sta preparando per uscire col suo ragazzo. Rabbrividisco, pensando che sto lasciando che Nathan Grey la tocchi. Che l’abbia toccata e che la toccherà.
Lui, uno che usa le ragazze per il piacere, e nient’altro. Uno che per guadagnarsi da vivere spaccia marijuana ai ragazzini. Che la vende anche a me, ma non è questo il punto. Il punto è che persone come Nathan non dovrebbero esistere.
Lo farei sparire, da quanto mi fa schifo.
Lei, mia sorella. La persona a cui voglio più bene al mondo.
Carnagione ambrata, occhi e capelli scuri. Bellissima, dalla testa ai piedi. Una che con un sorriso riesce ad illuminare una stanza buia. Una che con un abbraccio riesce a far scomparire tutto il resto.
Ipovedente, dalla nascita.
«Con me è dolcissimo, Zayn». Alzo gli occhi al cielo. Certo, dolcissimo. Solo perché vuole portarsela a letto e poi lasciarla in mezzo alla strada, come ha fatto con altre mille ragazze prima di lei.
Ma in fondo chi sono io per dire a mia sorella che non deve frequentarlo?
La vita è la sua, che ne faccia quel che vuole. Soffrire, in fondo, fa parte della vita.
E parte con uno dei suoi monologhi su quanto Nate sia bello, dolce e perfetto. Mi viene quasi da vomitare. Ma la ascolto, mentre si sistema i capelli. Perché il sorriso sul suo viso è la cosa migliore che mi sia capitata in quella giornata. Perché il suo sorriso fa sorridere anche me, tutto sommato.
È bellissima, da innamorata. Anche più bella del solito.
«Sei felice con lui?», le chiedo all’improvviso, avvicinandomi per aiutarla a chiudere la cerniera del vestito che ha appena indossato. Inclina la testa da un lato, guardandomi dal riflesso dello specchio. E sorride, annuendo appena.
Se è felice lei, sono felice anch’io.
Riapro gli occhi, uscendo dal flashback con un brivido che mi attraversa la schiena. E affondo il viso nei capelli di Charlotte, inspirando il suo profumo e stringendola a me. Ho bisogno di un abbraccio come mai prima di allora.
Perché mia sorella è morta per colpa di Nathan, vero.
Ma speravamo tutti che stesse in galera per più di tre anni. Lo speravo io, con tutto me stesso. E mia madre, mia sorella Safaa, Harry, Charlotte. Tutto il gruppo. Persino Perrie, forse.
E invece era tornato, apparentemente per Perrie. Ma io sapevo perfettamente che era per rovinare un’altra vita. Era la sua specialità, distruggere la felicità delle persone. Rovinare loro una felicità trovata dopo anni di lotte e fatiche. E lo faceva… per noia, credo. O magari per sfogare la cattiveria repressa, chissà.
Non mi importa perché lo stia facendo. Mi importa di sapere perché ce l’avesse tanto con me, tanto da rientrare nella mia vita e fare del male a chiunque mi circondasse, chiunque mi volesse bene.
Doniya, Perrie, Charlotte.
E sono sicuro al novanta per cento che appena avesse scoperto del mio rapporto con Heidi, sarebbe stata lei la sua prossima “vittima”, la prossima persona da torturare apposta per veder soffrire me.
Heidi. Sorrido contro i capelli di Charlotte, pensando ai suoi occhioni azzurri. Quegli occhi tanto belli da non sembrare veri. Quegli occhi che non ci vedono, ma che sorridono. Quegli occhi che dicono tante cose, senza parlare. Quegli occhi che probabilmente non mi vedranno mai.
Occhi che non vedranno il male. Occhi che non vedranno Nathan.
Ed è l’unica cosa per cui ringrazio che Heidi sia cieca.
«Mi dispiace per quello che ho detto di quella ragazza…».
«Heidi», la correggo automaticamente, senza smettere di sorridere.
E la mia migliore amica scoppia a ridere, ritrovando un minimo dell’allegria che aveva perso dall’incontro non proprio amichevole con Nathan. Strofina il naso sulla mia maglietta, cercando di tornare seria. Ma non credo ci riuscirà tanto presto, è scossa dalle risate. Risate che proprio non riesco a comprendere.
«Sei cotto, Malik», mi fa notare allontanandosi appena per guardarmi negli occhi.
D’istinto li chiusi, per far sì che non vedesse che aveva perfettamente ragione. Perché sono cotto di Heidi, dal primo momento in cui l'ho vista. Ma non posso essere cotto di lei, per la paura irrazionale di fare qualcosa di sbagliato che mi porto dietro. Allora, sono cotto o no?
«Mi piace», ammetto riaprendo gli occhi.
Charlie mi sorride, lasciandomi poi un bacio sulla punta del naso, come da bambini.
«Me la devi far conoscere, allora… mi faccio un bagno e andiamo?», mi chiede con gli occhioni spalancati. I suoi meravigliosi occhioni da cucciola indifesa. Ridacchio, ma scuoto la testa. Ne aveva passate abbastanza per quella giornata, tra la litigata con me e l’esperienza con Nathan, non era proprio il caso di farle passare del tempo con Heidi.
Quella ragazza scombussolava chiunque toccasse.
Soprattutto me.
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Blind love. [Zayn Malik]
FanfictionHeidi, 20 anni. Zayn, 22 anni. Lei, cieca. Lui, grande osservatore. Lei gli insegnerà ad ascoltare. Lui le insegnerà a vedere. E insieme impareranno ad amare.