19.

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Heidi.

Siete mai stati pienamente felici?
Di quella felicità che ti prende alla sprovvista, senza che tu te ne renda conto, e magari in momenti e luoghi in cui non ci sarebbe proprio niente da sorridere. Con quel sorriso che non fate mai vedere a nessuno. Un sorriso solo vostro, che dedicate solo a voi stessi. E alla persona alla quale tenete di più, in tutto il mondo.
Felici, col sorriso a trentadue denti che non accenna a svanire. Felici, continuando a ridacchiare tra voi, apparentemente senza alcun motivo. Felici, con la mano passata nervosamente e più volte tra i capelli. Felici, magari ripensando ad un sorriso, ad un paio di occhi...
Magari ripensando ad un bacio. Uno di quei baci dati e voluti, che rischiano di degenerare e di far impazzire entrambi. Uno di quei baci di cui hai un bisogno straziante, irrazionale e quasi doloroso. Uno di quei baci... un bacio vero. Senza mezzi termini. Dato con tutti voi stessi e ricevuto con la stessa intensità, la stessa voglia, e lo stesso amore.
Allora... siete mai stati pienamente felici? In questo modo, intendo. Rispondete, senza pensarci troppo, vi prego. E rivolgetemi la stessa domanda, senza preoccuparvi di quello che potrei rispondere io.
Perché, nel mio caso, io risponderei di sì. Senza esitazione alcuna.
Risponderei che sorrido quando sorride lui. Che avvampo quando mi fa un complimento, o quando la sua fronte si posa delicatamente contro la mia. Che sorrido, quasi senza accorgermene, quando le sue labbra si posano contro il mio collo, e la sua barba lasciata crescere fin troppo mi fa il solletico.
Risponderei che sto pensando a quel bacio, come se lo rivedessi all'infinito, da spettatrice, nella mia mente. Forse sto diventando pazza, certo. Forse "vedere" nel mio caso non è proprio la parola adatta. Ma sono dettagli, e come tali si possono anche tralasciare, no?
Risponderei che...
«Non mi hai nemmeno sentita entrare, è incredibile cosa ti faccia quel ragazzo».
La voce di mia madre interrompe il mio monologo interiore, seguita da una risatina. E non c'è nemmeno un pizzico di malizia nella sua voce, stranamente. Ma so perfettamente che si è accorta delle labbra gonfie e dei capelli spettinati. Se ne sarebbe accorto chiunque. Mia madre, a maggior ragione.
«Stavo pensando...», ammetto con un sorriso. Sorriso causato dal ricordo del bacio con Zayn. Causato da lui, sempre. Sorriso che mi fa dimenticare di essere in ospedale, o del fatto che anche il migliore amico del mio ragazzo è in ospedale. Sorriso che mi fa dimenticare persino di Nathan... anche se solo per un attimo. «Perché non mi hai detto niente dell'incidente?», le chiedo, inclinando la testa da un lato.
Sento mia madre avvicinarsi al letto, sedersi accanto a me, e prendere le mie mani tra le sue. Le sento stringere appena, prima che sospiri e faccia un respiro profondo, come se dovesse prendere coraggio. Tanto coraggio, a giudicare dalla stretta sulle mie mani, che aumenta, un secondo dopo l'altro. Ma non sembra essere in grado di dire niente, nemmeno una parola. Come fosse appena diventata una statua, ferma immobile tra le mie mani.
«Mamma...».
«Non c'era niente da dire, né niente che avessi potuto fare se te l'avessi detto», mi interrompe, evidentemente spazientita dalla mia insistenza. Inarco un sopracciglio, non credendole. Non è possibile. Avrei potuto fare qualcosa, anche se non so cosa, di preciso. E poi... non c'era niente da dire?
Apro la bocca, diverse volte, prima di arrendermi al fatto che non riesco a parlare. E che probabilmente non c'è niente da dire. Perché, oggettivamente, anche se me l'avesse detto non avrei potuto fare niente, ha ragione. Solo, mi da ai nervi che non me l'abbia detto. Mi da ai nervi che mi si nascondano le cose.
«Avresti dovuto dirmelo comunque», le dico con calma, facendola sospirare.
Avrebbe dovuto dirmi dell'incidente, del processo, che c'era un'altra famiglia coinvolta, che un ragazzo era finito in prigione, che una ragazza di qualche anno più grande di me era morta. Rimango dell'idea che avrebbe dovuto dirmelo, fregandosene di quanto mi sarei sentita impotente o di quanto avrei potuto soffrire. E poi... non capisco perché non me l'abbia detto. Scusate, ma non ci arrivo.
«La madre di Alex mi ha fatto promettere di non coinvolgerti, perché l'incidente ti aveva già strappato via tutto, non voleva che soffrissi». Scuoto la testa, ridendo nervosa. La madre di Alex. Non voleva che soffrissi. Come se non avessi sofferto ugualmente a cercare di ricordare cosa fosse successo, o a perdere il mio migliore amico, o a perdere la vista.
Ho perso comunque parte di me. E ho sofferto ugualmente.
Cosa sarebbe cambiato se me l'avessero detto?
«Ma... non sarebbe cambiato niente...».
«Saresti entrata nel giro sbagliato, se ti avessi detto che c'era un'altra famiglia coinvolta», mi dice, a voce fin troppo alta, lasciandomi le mani di scatto. Allora scoppio a ridere, non riuscendo a fermarmi. La risata più amara della mia vita. Non si fida di me. Non si fida di Zayn. Non si fida di Charlotte. «Heidi... non è quello che volevo dire...».
Però l'hai detto.
«No, mamma, tu credi davvero che conoscendo Zayn prima mi sarei rovinata la vita», riesco a dire, in un sussurro, per poi scostare il lenzuolo dell'ospedale e scendendo dal letto, dall'altro lato. Recupero il bastone bianco dal comodino accanto al letto e faccio per uscire, cercando di orientarmi nonostante io non conosca il posto.
Mia madre non mi ferma, non prova nemmeno a fermarmi.
Ma a fermarmi ci pensano le voci di Louis e Liam, poco distanti. Così mi bloccò, probabilmente vicina alla porta, e lascio scendere una lacrima. Appena un attimo prima di trovarmi tra le braccia del mio migliore amico. Non dice una parola, Louis. Non chiede niente. Solo, sento Liam trascinare mia madre fuori di lì, prima di crollare, senza riuscire a fermare i singhiozzi.
Lascio che mi trasporti di nuovo a letto. Che mi faccia sedere, con le gambe a penzoloni. E che mi si sieda accanto, tenendomi una mano e lasciando che mi sfoghi, con la testa poggiata sulla sua spalla. Sento le sue labbra sulla testa, e una sua mano ad accarezzarmi un braccio, come se volesse tranquillizzarmi.
Ma non ci riesco. Non riesco a calmarmi. E realizzo, due cose.
La prima, è che ho bisogno di Zayn. Disperatamente.
La seconda, è che anche Louis sapeva dell'incidente, di Doniya, del processo e di tutto il resto, ma non mi ha detto niente. Lo sapevano tutti. Anche Liam, Victoria, Eleanor, Niall. Tutti, tranne me.
«Se può farti sentire meglio, io volevo dirtelo, piccola», mi sussurra in un orecchio, continuando a stringermi a sé. Come se riuscisse a leggermi dentro. Come se capisse che sto pensando proprio a quello. Come faccia, proprio non lo so. Forse è solo perché è il mio migliore amico. Perché siamo cresciuti insieme e mi conosce meglio di chiunque altro. Forse, sì.
«E' morta una ragazza... una famiglia ha sofferto, e un ragazzo è finito in prigione, eppure io lo scopro dopo tre anni, ti sembra giusto?».
Lo sento sorridere, per poi posarmi delicatamente le labbra sulla fronte.
«Dici così solo perché sei innamorata di Zayn, lo sai, vero?». Mi viene da ridere, mentre mi abbandono grata al suo abbraccio e alle sue parole. Abbandonandomi al bacio fraterno del migliore amico che si possa desiderare. «E per la cronaca, io penso che avresti lottato ancora più duramente, se te l'avessimo detto».
Riesco solo ad annuire, a quelle parole. Perché probabilmente solo le più vere che mi abbia mai detto. Perché in questi due mesi l'ho allontanato, senza volerlo. Non era mia intenzione, è solo che sono stata presa da tutto il resto per curarmi anche di lui. Ma mi è mancato, troppo. E sentirlo parlare in quel modo, mi fa sentire decisamente meglio.
E meno sola. Molto meno sola.
E meno terrorizzata da quello che sta per accadere, di lì a poco più di un'ora.

Blind love. [Zayn Malik]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora