21.

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Heidi.

Sono sdraiata sul letto di Zayn da quasi un'ora, con le palpebre abbassate e le sue dita che mi sfiorano il braccio nudo, dal polso alla spalla e ritorno. Senza parlare. Senza bisogno di muoversi. Sono in canottiera e pantaloncini, nonostante l'aria fresca. Ma è come se sentissi il bisogno fisico di avere le sue dita addosso. Come se mi servisse.
Sono passati due giorni dalla TAC. Il dottor Harrison mi ha prescritto degli antidolorifici per il mal di testa, almeno finché non si scoprirà qualcosa in più. Mi sono rifiutata di fare la risonanza subito. Vogliamo parlare delle radiazioni? Insomma, potrebbe venirmi qualcosa, no?
E in più, una volta resosi conto, anche il medico è stato d'accordo con me.
Mi ha dato appuntamento una settimana dopo la TAC. Quindi, mancano cinque giorni. Che preferirei passare in pace, nel limite del possibile. Ridacchio, pianissimo, quando senso le labbra del mio ragazzo sostituirsi alle sue dita, sulla mia spalla. «Ti ho sentita», mi soffia sulla pelle Zayn, facendomi rabbrividire. Allora rido, accorgendomi appena del rumore della porta d'ingresso che si apre.
Sento solo le sue labbra risalire lungo il mio collo, per arrivare a qualche millimetro dalle mie. «E' arrivata tua sorella», gli dico in un sussurro, sentendo la porta richiudersi. La voce della piccola Malik mi arriva alle orecchie dopo qualche secondo, seguita da una voce più adulta, femminile. «E tua madre...».
Zayn ride contro le mie labbra, divertito dal mio tono di voce. «Chiudo la porta?».
Ma non faccio in tempo ad annuire né lui a fare altro, che la voce di Safaa ci arriva fin troppo nitida, fin troppo vicina. Deve essere ferma sulla porta, magari con le manine sui fianchi. «Dio, prendetevi una camera!». È ironica, in ogni minima sfumatura, ma non posso fare a meno di arrossire, nascondendo poi il viso nel collo di suo fratello, che ridacchia appena, posandomi un bacio sui capelli. «Rimani per cena, Heidi?».
Sorrido, le labbra ancora posate contro il collo di Zayn, e annuisco appena, borbottando qualcosa di poco comprensibile, facendolo ridere. Come farei senza quella risata? Sopravvivrei? A stento, forse. E mi rilasso di nuovo sotto le sue dita, che stavolta mi sfiorano la schiena, dalla nuca all'osso sacro.
Sto andando a fuoco. Letteralmente. Ogni millimetro di pelle sfiorato dalle sue dita - anche se coperto dalla canottiera leggerissima - si surriscalda, andando a fuoco. «Sei carina quando ti imbarazzi», mi sento sussurrare. Ha le labbra posate sulla mia guancia arrossata. Ferme, immobili in un punto impreciso tra lo zigomo e la mascella.
«E tu sei un bravissimo bugiardo», riesco a dire, stranamente con voce piuttosto ferma. Senza ridere. Senza l'ombra di un sorriso. E senza ansimare. Sono una brava attrice, dopotutto. Peccato che mi scappi un sospiro, al sentire le sue labbra sfiorarmi l'orecchio. Peccato che lui senta quel sospiro. E peccato che si fermi, stampandomi un bacio sulle labbra.
«Stavo andando troppo oltre... di nuovo».
«Non ti avrei fermato», mi scappa, con un sorriso da un orecchio all'altro. Ed è vero, probabilmente non l'avrei fermato. Probabilmente non ne avrei avuto la forza. Probabilmente mi fido fin troppo di lui. O probabilmente non mi importa di nient'altro, quando sono con lui. «Il confine è davvero sottile quando si tratta di andare oltre, sai?».
Lo sento trattenere il fiato qualche secondo, per poi buttare fuori tutta l'aria. Tutta contro le mie labbra, in un sospiro che sa di tabacco, menta e liquirizia. Un sospiro che sa di lui, fino a riempirmi le narici. Fin troppo.
Il confine è davvero sottile.
Si tratta di qualche misero millimetro. La stessa distanza che intercorre tra le nostre labbra. La stessa che c'è tra le sue dita e la mia coscia nuda. Sento le sue dita, anche se non mi tocca, come se il suo tocco emanasse calore anche senza essere in contatto con me.
La stessa distanza che sta tra un bacio puro e uno che di puro non ha niente. Si passa da un lato all'altro in un nano secondo, senza nemmeno rendersene conto. Perché quando si ama, non ci si rende conto di niente, se non della persona che ci ha rubato il cuore. Quella persona che ci guarda come fossimo la cosa più importante sulla Terra... anche se io non lo vedo.
Lo sento. E basta questo, credo.
«Troppo sottile, piccola», mi sussurra prima di stamparmi un bacio a stampo, interrotto solo dalla risatina di Safaa in corridoio. Non ha chiuso la porta, c'era da aspettarselo. Ma rido anche io con lei, non riesco a farne a meno. «Ora la uccido a forza di solletico, porca putta...».
In qualche modo riesco a centrare le sue labbra con due dita, ridacchiando.
«Lasciala stare, è carina», borbotto accoccolandomi contro il suo petto e stringendo tra le dita un lembo della maglietta che indossa. Respiro a fondo, con calma, volendo imprimermi nella mente ogni sfaccettatura del suo odore. Ogni minima variazione, impressa nella memoria. «Vorrei tanto poterti vedere». Poso le labbra sulla sua clavicola, abbassando le palpebre, timorosa della sua reazione.
Silenzio. Non dice una parola. Quasi non lo sento respirare. È immobile, fermo al mio fianco. Forse l'ho spiazzato. Non lo so, perché non lo vedo. Niente di nuovo. Ma posso sempre sentirlo. Anche qui, niente di nuovo. Lo sento alzarsi dal letto e prendermi per mano. Farmi scendere.
E rido, non riuscendo ad orientarmi. Non capendo niente.
Scendiamo le scale. Attraversiamo un corridoio. Sento la piccola Safaa ridacchiare. E una risata unirsi alla sua, probabilmente sua madre. Ma Zayn stringe semplicemente la presa sulla mia mano. E continua a trascinarmi.
Mi fido. Beh, in fondo, ho altre possibilità?
«Mi dici dove...?». Ma il mio sussurro si spegne contro le sue labbra, contro la sua risata appena accennata. E rido anche io, più spensierata che mai, ma ancora senza riuscire a capire un accidente. Né dove mi stia portando, né cosa voglia fare.
«Non mi puoi vedere, è vero... ma mi puoi sentire, e ho pensato che...».
«Hai pensato? Che novità è mai questa?», scherzo, non riuscendo nemmeno a trattenere una risata. La verità è che mi piacciono le sorprese. Forse anche perché nessuno ha mai provato a sorprendermi davvero.
Ma Zayn mi ignora. Ignora la mia battuta, anche se lo sento sorridere. E apre una porta. Mi fa entrare e ci richiude la porta alle spalle. In silenzio. Sento solo il rumore di un interruttore che scatta, ma al solito io rimango al buio. «Doniya diceva sempre che ho un dono... che quando suono è come se trasmettessi quello che sento, senza doverlo dire a parole», mi dice allontanandosi. Lo sento fare rumore, spostare qualcosa, ma non capisco cosa.
Riesco solo ad annuire, lasciando che mi aiuti a sedermi su quella che deve essere una poltrona. Sollevo le ginocchia, portandole al petto e posandoci sopra una guancia. Abbasso le palpebre, nell'attimo esatto in cui le sue dita iniziano a sfiorare le corde di una chitarra. E mi scappa un sorriso.
Ad ogni nota, sento le lacrime salire agli occhi. Ad ogni nota, sento le gambe cedermi, tanto che se non fossi seduta rischierei di cadere a terra. Ad ogni nota, mi si riempie il cuore. E continuo a sorridere, sentendo il suo sguardo addosso. A dire il vero, non riuscirei a fare altro.
Sorrido e basta, mentre lui continua a suonare.
Perché sorrido? Credo proprio che Doniya avesse ragione.

Blind love. [Zayn Malik]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora