Capitolo 28

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Elena

Due mesi dopo...

Essere in ritardo non era mai stato un mio grande problema. Di solito riuscivo sempre ad essere puntuale per ogni occasione, se non in anticipo. Quel giorno di novembre, però, come solo un altro giorno in vita mia, il mio corpo si rifiutava di sbrigarsi. Certo, avevo passato una serata molto movimentata ed ero seriamente stanca, ma in passato avevo fatto di peggio e non capivo come fosse possibile che mi sentissi così distrutta e lenta. O forse lo sapevo e cercavo di ignorarlo come mio solito nell'ultimo periodo.

«Non mi hai svegliata, merda» lanciai un cuscino dritto sulla faccia di Gio, colpendolo in pieno. Aveva ancora gli occhi chiusi lo stronzo. La sua scusa era stata che voleva lasciarmi riposare dato che negli ultimi giorni ero stata più stanca del solito.

«Credo di avere un deja-vu» borbottò coprendosi con la coperta.

«Già, chissà perché» dissi ironicamente, infilando l'ultima scarpa.

Presi anche la mia borsa e senza nemmeno salutarlo, uscii dalla sua camera cercando di non svegliare anche Javier. Non quella volta. Non ci tenevo affatto a litigare di prima mattina anche con lui, non era ciò di cui avevo bisogno.

Accesi lo schermo del telefono, nessuna chiamata e nessun messaggio. Sospirai frustrata, camminando a passo svelto per le strade ormai fredde di Firenze. In realtà non mi aspettavo nulla, avrei solo voluto picchiarlo.

«Vaffanculo» bisbigliai, fra me e me.

Quando raggiunsi finalmente la caffetteria e vidi da lontano Antonio, il ragazzo della pasticceria, e Mattia, cominciai a torturarmi il labbro inferiore.

"Sembra anche a me di avere un deja-vu", pensai a quando mi ritrovai a correre al lavoro quella ormai lontana mattina con il mio amato vestitino azzurro.

«Antonio! Scusami per il ritardo e grazie sempre. Come va?» mi rivolsi al ragazzo, ignorando di proposito l'essere ora dietro di me che non faceva altro che fissarmi la schiena.

«Oh bene, grazie a te per aver chiesto. A te come va? Tua madre?» a quella domanda un sorriso finto spuntò automaticamente sul mio viso. Odiavo quando mi facevano quella domanda, anche perché spesso era l'unica che mi facevano quasi come se la mia vita e quella della mia famiglia avesse iniziato a roteare soltanto intorno a quello.

«Resiste per fortuna. E anche io» mi strinsi nelle spalle, non sapendo che cosa dire, come ogni volta. Non aveva senso chiederlo.

«Menomale. La signora Viola è forte, vedrai che starà bene» Antonio mi portò una mano sulla spalla, quasi massaggiandomela per darmi conforto. Lo sguardo dispiaciuto con cui mi guardava non mi piaceva affatto, sembrava che mamma fosse già morta nonostante ciò che lui stesso aveva appena detto. Odiavo quel comportamento. Era da ipocriti.

«Sei molto dolce» cercai di sorridergli sinceramente, invano.

Sentii Mattia schiarirsi la gola, ma continuai ad ignorarlo, nonostante molto probabilmente volesse soltanto essermi d'aiuto.

«Elena, senti... è da un po' che ci sto pensando e volevo chiederti una cosa» Antonio mi sembrò quasi preoccupato per ciò che voleva dirmi, mi aspettavo un'altra domanda che riguardava mamma.

«Dimmi pure» lo incitai, sospirando.

Mattia finse un colpo di tosse, mi morsi l'interno della guancia per trattenermi dal voltarmi e iniziare a dargli contro.

«Beh, ecco... mi chiedevo se magari ti andasse di uscire una volta. Insieme intendo» per poco non mi strozzai con la mia stessa saliva non appena sentii quella frase.

Small Steps, il primo caffè è sempre da buttareDove le storie prendono vita. Scoprilo ora