Capitolo 21

643 20 8
                                    

Mattia

Chiusi la porta, mi lasciai scivolare per terra contro il muro. Portai una mano sul petto, cercando di inspirare quanta più aria possibile. Inspiravo ed espiravo, ma l'aria mi mancava comunque. Continuai a sbottonare la camicia fino ad aprirla del tutto. Volevo urlare, mi sentivo male ed ero spaventato a morte. Non mi ero mai sentito così. Socchiusi gli occhi, mi sentivo soffocare. Mi alzai in piedi e raggiunsi la finestra del bagno velocemente, aprendola. Non sapevo cosa fare, mi sembrava di essere rinchiuso in una gabbia senza serratura.

«Mattia stai bene?» La signora Morelli cominciò a bussare alla porta del bagno, mi voltai a guardare in quella direzione. Mi girava la testa, la vista mi si stava annebbiando. Non capivo cosa mi stesse succedendo, erano sensazioni mai provate prima.

«S-sto bene» dissi a voce forse fin troppo bassa.

Non riuscivo a parlare, non riuscivo a fare nulla. Mi sedetti per terra, continuavo ad inspirare ed espirare come se da quello dipendesse della mia vita e dentro di me sapevo che fosse così, che se mi fossi fermato un secondo sarei morto. Ecco, mi sentivo morire.

Morte.

Era questo quello che aveva provato Fabrizio Russo? Questo cazzo di senso di oppressione? Come se stessi per essere risucchiato dal nulla da un momento all'altro? La morte non era la pace ritrovata? Un sonno tranquillo?

Strinsi i capelli fra le mani, non ce la facevo più, mi sembrava di vedere tutto ciò che mi circondava sempre più nero.

«Mattia» le mani della signora Morelli raggiunsero il mio viso, e non sapevo nemmeno come avesse fatto ad entrare o quando lo avesse fatto, ma quando vidi i suoi occhi azzurri preoccupati per me la sensazione che sentivo peggiorò. Provai ad indietreggiare, ma la signora Morelli me lo impedì. Mi stava dicendo qualcosa, ma non riuscivo a capire cosa.

«Non preoccuparti, Mattia, è tutto passato. L'importante è che tu stia bene»

«Non importa cosa ci sia fra voi, non voglio entrare nelle vostre vite personali, voglio bene ad entrambi e quello che desidero è soltanto che voi stiate bene»

Sentii gli occhi riempirsi di lacrime, tirai su con il naso, non ne lasciai cadere nemmeno una. Sentii di nuovo le mani della signora Morelli sul mio viso, la guardai negli occhi.

Inspirai forte, la signora Morelli posò una mano sul mio petto, proprio sopra la mia. Abbassai lo sguardo su quel tocco. «Sono qui, è tutto ok» sussurrò.

Stava sentendo il mio cuore dare di matto e lo sentivo benissimo anch'io, come se lo avessi all'orecchio.

«Falle cadere», il pollice di quella donna, che non era mia madre, sfiorò il mio occhio sinistro, socchiudendolo. Alcune lacrime cadettero. Espirai.

La signora Morelli non disse più niente, mi abbracciò soltanto e con una forza che non credevo una donna così minuta come lei potesse possedere. Cominciai a piangere come un cazzo di bambino fra le sue braccia e dentro di me mi sentivo terribilmente patetico mentre singhiozzavo.

Non sapevo nemmeno perché lo stessi facendo, non c'era un motivo preciso o forse ce n'erano anche troppi.

Quella donna mi stava accarezzando i capelli, continuando a sussurrarmi un "va tutto bene" ogni due secondi, e io ci credevo alle sue parole. Volevo crederci, ma non ce la facevo più e troppo spesso nella mia mente stavo ripetendo quella frase.

Odiavo mio padre, odiavo mia madre e odiavo Elena per avere due genitori che la amavano e che avrei tanto voluto avere io. Odiavo il signor Morelli per farmi sentire motivo di suo orgoglio anche se non lo meritavo e odiavo la signora Morelli per essersi preoccupata per me e avermi detto tutte quelle belle parole. Ma più di tutti, odiavo me stesso per non riuscire a controllare i miei sentimenti.

Small Steps, il primo caffè è sempre da buttareDove le storie prendono vita. Scoprilo ora