Capitolo 30

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Elena

«Vi rendete conto che sembrate due bambini, vero?» la predica del signor Antonio stava andando avanti già da un po'.

Non potevo ancora credere di aver vomitato addosso a Mattia. Se da una parte ero piena d'imbarazzo e disgustata da me stessa, dall'altra non riuscivo a trattenermi dal ridere. C'è da dire che io lo avevo avvisato. O quasi.

«Dovrei lamentarmi io dato che la vittima sarei appunto, indovina un po', IO» eccolo che tornava all'attacco.

«Vogliamo davvero parlare di vittime? Ti ricordo che mi hai avvelenato il panino, Ottavi» gli rinfacciai, lanciandogli un fazzoletto accartocciato. Lui, purtroppo, lo prese al volo, rilanciandomelo con più forza.

Almeno era pulito.

Buttai la testa all'indietro, esausta.

«Avvelenato... che parolone, vuoi denunciarmi alle autorità competenti per caso?» come al solito voleva prendermi in giro.

Alzai gli occhi al cielo e tornai a guardare il signor Antonio, che ormai aveva preso a fissarci in silenzio. Probabilmente aveva perso le speranze.

«Quindi? Sono la tua piccolina, dovresti difendermi, Antonio!» Gli dissi, cercando di risvegliarlo da quello stato di trance in cui era entrato.

«Elena, Elena, Elena...» sospirò, facendomi accigliare, «mi ricordate proprio me e mia moglie alla vostra età».

Male.

«In che senso?» domandò Mattia, togliendomi le parole di bocca. Lo fulminai con lo sguardo, lui mi fece una sua solita smorfia fastidiosa. Avrei voluto prenderlo a pugni per quanto era bello, cazzo. Antonio aveva ragione, sembravamo avere dieci anni in due.

«Quando eravamo giovani io e lei non andavamo molto d'accordo. Io non ero proprio un bravo ragazzo e lei per questo mi aveva giudicato male. Io, d'altra parte, sapevo che lei fosse una ragazza di brava famiglia, una che voleva apparire sempre perfetta, e per questo mi infastidiva anche soltanto il modo in cui parlava. Le facevo anch'io tanti scherzi, volevo che si rilassasse, che capisse che non c'era bisogno di fare la principessina, che il mondo era imperfetto e che anche lei poteva esserlo. Quando glielo spiegai la situazione fra noi cominciò a migliorare e pian piano ci innamorammo l'uno dell'altra per non lasciarci mai più» vidi il signor Antonio deglutire. «Mattia, perché le hai fatto questo scherzo?» si rivolse poi all'idiota al mio fianco.

Mi presi qualche secondo per ammirarlo. Aveva le labbra strette fra loro e gli occhi leggermente socchiusi, sembrava immerso nei suoi pensieri.

«Tu lo sai» rispose poi, facendomi inarcare un sopracciglio.

«Ma Elena no, quindi potresti ripeterlo o sei un codardo?»

Si voltò verso di me per guardarmi. Lo fece a lungo, dovevo sentirmi in soggezione ma non riuscivo a distogliere i miei occhi dai suoi. Riuscivo a vederci me stessa.

«Io non ho paura di dirlo, quindi lo dico e basta, non me ne frega niente di quello che pensi, hai capito?» mi disse poi, quasi arrabbiandosi.

Non capii quella sua reazione all'inizio. Annuii soltanto lievemente per non peggiorare la situazione.

«Volevo attirare la tua attenzione. VOGLIO attirare la tua attenzione. Io voglio questo, me e te insieme a scherzare, a rincorrerci, a picchiarci e guardarci. Merda, lo sai quello che voglio!» Si alzò dalla sedia senza continuare più il suo discorso, facendola strisciare rumorosamente per terra, poi uscì dalla cucina senza più guardarmi.

Mi ritrovai a deglutire anch'io. Mattia era incazzato con me e lo sapevo. Aveva tutte le ragioni di esserlo. Avevo voglia di piangere.

«Piccolina...» il signor Antonio mi accarezzò un ginocchio, alzai gli occhi per guardarlo. «Tu che cosa vuoi?»

Small Steps, il primo caffè è sempre da buttareDove le storie prendono vita. Scoprilo ora