Capitolo 32

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Elena

Quando ero piccola e combinavo uno dei soliti guai che fanno tutti i bambini i miei genitori mi rimproveravano come era giusto che fosse. In quei momenti però io non riuscivo a guardarli nemmeno in faccia. Non ci riuscivo non perché mi vergognassi di aver fatto qualche casino o perché mi sentissi in colpa, ma perché mi veniva troppo da ridere e non riuscivo a trattenermi in alcun modo, nemmeno pizzicandomi da sola il braccio dietro la schiena come ero solita fare spesso.

Succedeva allora, e succedeva ancora anche quando il giorno dopo la magica festa a villa Ottavi papà non mi risparmiò una bella ramanzina. La signora Ottavi aveva chiamato mamma perché mi aveva vista dalle telecamere insieme ai miei amici e suo figlio. Il signor Ottavi, a detta sua, aveva dato di matto. Mamma mi aveva detto addirittura che durante la chiamata lo sentiva urlare dall'altra parte del telefono.

Come potevo non ridere?

Anzi.

Come potevamo non ridere?

«Io lo sapevo che stavate confabulando qualcosa voi due ieri» papà continuava a rivolgersi a me e Mattia con finto fare arrabbiato. Finto perché in realtà si vedeva che la cosa non gli dava fastidio come voleva invece dimostrarci, anche lui stava odiando il signor Ottavi in quel periodo. Non gli era andata ancora giù la cosa di mamma, non riusciva a perdonarglielo nonostante gli anni di forte amicizia. O meglio, proprio per quelli.

«E voi poi...» passò a guardare i nostri amici, tutti nel salotto di casa mia, «invece di fermare a questi due scemi gli date corda?»

Dopo la lunga nottata passata a fare festa ci eravamo rifugiati tutti a casa mia, o meglio, nella mia camera. Eravamo stati svegliati tutti dalle dolcissime urla di papà, già arrabbiato alle otto e trenta del mattino.

«Non si dice mai no ad una festa» Paolo gli rispose con un'alzata di spalle, completamente tranquillo.

Io e Mattia ci guardammo negli occhi, eravamo sul punto di scoppiare a ridere.

Se noi eravamo scemi, i nostri amici lo erano molto di più.

«Veramente io ho provato a far ragionare Ele, ma sapete com'è, quando si impunta su una cosa la fa e basta» Gio si buttò sul fare il paraculo come sempre. Mi leccai il labbro inferiore, Mattia me lo guardò d'istinto. Distolsi lo sguardo, per un motivo apparentemente inesistente le immagini della notte passata insieme cominciarono a vorticare nella mia mente.

Era stato di gran lunga meglio di come mi aspettavo.

Lui era meglio di come mi aspettavo. E spero vivamente che mantenga le sue promesse per sempre.

«Comunque abbiamo deciso che andrete lì a chiedergli scusa» a quell'affermazione tornai subito a fissare mio padre.

Doveva essere impazzito, non poteva neanche soltanto lontanamente pensare che noi fossimo andati a chiedere scusa a quell'uomo.

«Io non chiederò scusa al signor Ottavi. Non dopo il modo in cui ha trattato Mattia, è uno stronzo» esordii subito, e magicamente le risate erano sparite dal mio volto.

Non riuscivo a sopportarlo.

«Elena!» mi rimproverò papà, guardandomi male.

Distolsi di nuovo lo sguardo, incrociando le braccia al petto quasi con fare da bambina.

Mi rendevo conto di apparire infantile, ma nella mia testa ero tutt'altro che infantile.

«Voglio parlare con mamma. Lei capirà. È lui che dovrebbe chiedere scusa, non noi» continuai imperterrita. Mamma sarebbe stata dalla mia parte, ne ero certa.

Small Steps, il primo caffè è sempre da buttareDove le storie prendono vita. Scoprilo ora