Capitolo 4

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Elena

«Paolo mi ha detto che è simpatica e che non è una di quelle che se la tira» Giovanni, dall'altro lato del telefono, mi fece sorridere.

«Non odio quelle che se la tirano, semplicemente molte volte il fatto che se la tirino combacia con l'essere delle stronze patentate e questo sì, lo odio» spiegai, entrando in caffetteria.

«Quindi che faccio? Gli posso confermare per venerdì oppure no?» mi domandò, facendomi alzare gli occhi al cielo.

«Certo che puoi confermare, non vedo l'ora di conoscere la ragazza che ha incantato il nostro Paolo» salutai mia madre impegnata alla cassa.

«Ma sono le due, non inizia il tuo turno?» Gio cambiò discorso. Vidi Mattia con già il grembiule indosso intento ad aiutare mio padre alla macchina e una certa rabbia cominciò a montare in me.

Dopo la sera precedente lo odiavo ancora di più.

«Infatti ero proprio sul punto di staccarti il telefono in faccia, Gio» ovviamente non dicevo sul serio.

«Sei più cattiva del solito, secondo me è colpa di quel Mattia. Ti ha fatto qualcosa? Devo venire-»

«No, Gio. Smettila di preoccuparti per me, è tutto apposto, davvero. E poi ti ho promesso che non mi sarei più lasciata rovinare la vita da persone come lui, quindi che c'è? Non mi credi capace di mantenere quella promessa?» Indossai il mio grembiule e salutai anche papà. Mattia mi rivolse il suo solito sorriso strafottente, facendomi quasi uscire il fumo dalle orecchie.

Sembrava che per lui non fosse accaduto nulla. E forse era così.

«Non volevo dire questo, principessa. Assolutamente. Tu puoi tutto e lo sai» disse Giovanni, con una certa enfasi.

«Perfetto, allora ci sentiamo quando finisco magari, ok?»

«Va bene, va bene. A stasera» terminai la chiamata e riposi il telefono nella tasca dei jeans.

«Scommetto che stavate parlando del tuo musicista» la voce di Mattia mi fece istintivamente alzare gli occhi al cielo. Era proprio un pettegolo.

«Non sono affari tuoi».

Feci passare mio padre per farlo entrare in cucina, così rimanemmo io e Mattia dietro al bancone.

«Indovina cosa ho imparato a fare prima» quando mi si parò davanti lo guardai negli occhi.

«Perché credi possa importarmi qualcosa di quello che hai imparato?» chiesi inarcando un sopracciglio e incrociando le braccia al petto.

Mattia mi schioccò un dito sulla fronte, facendomi scappare un "ahia". «Sei andata a male stanotte? Ti vedo più acida» aggiunse poi, tenendo il suo stupido e irritante sorrisetto ben in mostra.

Aveva dimenticato già il modo in cui mi aveva trattato la sera prima?

«Tu invece ieri sera eri proprio PRESO a male. O sbaglio?» feci un passo in avanti, schioccando stavolta le mie dita sul suo petto.

Ovviamente non gli feci nulla, perché l'idiota si mise a ridere.

«Sei più sveglia e cerchi di tenermi testa, sì. Questo è vero. I risultati però sono abbastanza scarsi, lasciatelo dire».

«A quanti esami sei, Mattia?» decisi di colpirlo. Lui non dovette prenderla molto bene, i suoi lineamenti si indurirono. Mi si avvicinò ancora, poggiando una mano sul mio fianco.

Abbassai gli occhi su quella presa, sorpresa e confusa allo stesso tempo. Non capivo che cosa stesse cercando di fare.

«Tu invece a quante corna sei?» Lo spinsi via con forza, trucidandolo con lo sguardo.

Small Steps, il primo caffè è sempre da buttareDove le storie prendono vita. Scoprilo ora