CAPITOLO 5

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                      Sei Mesi Dopo

Okay, Janie, è il tuo turno. Perché non ci racconti perché sei qui oggi?» jungkook guardò scuro in volto in giro per la stanza la dozzina di persone sedute in cerchio su sedie pieghevoli. Ragazzi e ragazze che avevano la sua età, che non sembravano per niente felici di essere lì come non lo era lui.
Ma, proprio come lui, non avevano scelta. O le lezioni di gestione della rabbia o un’alternativa molto meno attraente. Lasciarsi licenziare da un lavoro. Trascorrere del tempo in prigione. Oppure, nel suo caso, essere cacciato da scuola.

La sua mascella ticchettò, quando Janie riversò cupamente i suoi spiacevoli difetti a un gruppo di completi estranei. Presto sarebbe stato il suo turno, ma col cavolo che avrebbe condiviso qualcosa. La sua vita non era un loro maledetto affare. Sfortunatamente, quello non lo esimeva dal dover frequentare, né quella settimana né le nove a seguire.
In verità, era un miracolo che non fosse fi nito lì prima. Durante gli ultimi sei mesi, all’università, era riuscito a litigare quasi ogni singolo fine settimana. Era un ubriacone incattivito, ma non stupido, e fino a quel momento era riuscito a essere coinvolto il minimo possibile con i poliziotti. Solo un paio di fine settimana trascorsi in prigione per disturbo della quiete, che non aveva mai finito per intaccare la frequenza delle lezioni.

Peccato che la sua serie fortunata fosse terminata.
Era stata colpa di quel succhiacazzi, però, che non faceva altro che dare aria alla bocca. Se l’era vista con la persona sbagliata in un cazzo di giorno sbagliato. Non che ogni giorno non fosse quello sbagliato, se
c’entrava jungkook . E, sì, lui era sempre la persona sbagliata. Ma quella sera, dopo la lezione, era stato straordinariamente nervoso, mentre si dirigeva verso il proprio pick-up nel parcheggio. Il ragazzo lo aveva chiamato checca o testa di cazzo o qualcosa del genere. Merda, non riusciva nemmeno a ricordare cosa avesse detto quel perdente. Tutto quello che sapeva era che era esploso, con decine di spettatori a guardare. Anche ora, non era esattamente sicuro di cosa fosse successo, cosa avesse potuto fare di così brutto quel ragazzo, perché il fatto era che jungkook sapeva che le risse nel campus avrebbero dovuto essere evitate a tutti i costi. Lo sapeva, ma per qualche ragione, si era proprio… rotto.

A volte si chiedeva se in realtà fosse più cattivo da sobrio.
Che fosse così o no, alla polizia del campus non gliene fregava niente.
Fortunatamente per lui, anche se aveva avuto una brutta giornata, il suo consulente universitario ne aveva avuta una buona. Dopo aver preso in considerazione la recente perdita di jungkook , aveva deciso di metterlo in libertà vigilata con solo una segnalazione. A condizione, ovviamente, che partecipasse alle lezioni di gestione della rabbia per le successive dieci cazzo di settimane.
Fumava dalla rabbia, seduto sulla sedia, a chiedersi se l’espulsione non sarebbe stata meglio. Mentre il partecipante successivo, Philip, si lamentava incessantemente di quella stronza puttana di madre, jungkook trovò che era davvero una decisione difficile.

Un paio di sedie più in giù, un tipo con i capelli scuri fece scivolare verso di lui uno sguardo sospetto. Lui ricambiò torvo, non interessato a ciò che stava offrendo. Il ragazzo sorrise, sembrando assolutamente imperterrito. Lui strinse gli occhi, non dell’umore, ma quel gesto fece appena tremolare le labbra dell’altro. Jungkook si irritò. Quello stupido stronzo stava per farsi prendere a calci in culo. Con la schiena rigida, mimò con la bocca al ragazzo: «Non scherzare con me stronzo, o picchierò quella cazzo di…»
«Jungkook?» La voce del terapista lo fermò a metà minaccia.
«È il tuo turno di dirci perché sei qui.» Lui increspò le labbra e squadrò l’uomo, poi scoccò alla sua nemesi un altro sguardo irritato.

«Ho fatto a pezzi i denti di un cazzone per avere aperto troppo la bocca. Una tattica efficace che potrei dover usare presto di nuovo.»
Dopo la lezione, andò dritto verso la porta, ansioso di uscire da lì.
Di gran lunga, una delle esperienze più dolorosamente imbarazzanti che fosse mai stato costretto a sopportare.
Soprattutto durante il suo turno di condividere.

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